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Satira preventiva Elegia scritta nel cimitero di Nicastro

“Titiro, tu chinato

  Sotto l’ampia copertura d’un faggio,

  vai componendo un canto silvestre

  sull’esile flauto”.

  (P.Virgilio Marone)

 

Sono quassù seduto, non certo sub tegmine fagi, – non c’è nessun idillio primaverile da assecondare – ma sotto l’albero dell’umanità, una croce spropositata della quale lo sguardo non riesce a contenere l’apertura delle braccia, un disadorno crocione in cemento armato, che staglia perfettamente quattro caselle da un plumbeo cielo quaresimale.
Ero venuto al solito per gli avi, a cui la necessità di loculi per la carne fresca sottrae sempre più spazio, ci sorridono gli ospiti antichi da sempre più striminzite caselle, fino a che non spariranno anche loro nell’ossario, e il loro riso bonario si confonderà nel ghigno di quel teschietto coi suoi bravi femori incrociati, inciso sulla porticina di ferro.
Penso che come la nostra città, anche i suoi cimiteri hanno aiuolette più o meno curate, villini patrizi, condomini a più piani, centro storico, viali e viottole: anche qui si respira una certa aria di espansione economica, e l’edilizia è più feconda che mai, anzi troppo feconda.
Nei tempi d’oro, dalle nostre parti, ci si accontentava di un appartamento a pigione in città pur di avere la casuccia al mare, oggi si fa lo stesso per un lotto di proprietà nel terreno di tutti.
Là in fondo, nel cimitero dei viventi, tutto tace.
É strano: un gregge senza pastore dovrebbe immillare belati scomposti, scalpicciare ad oltranza, reclamare la sua porzione d’erba in un recinto divenuto troppo stretto, invece ingoia i sassi e tace.
Certo il suo pastore, a prescindere dalla fascia tricolore, non era Gesù Cristo, ma è stato comunque percosso, ed ora il gregge attende rassegnato un nuovo padrone.
Ogni tanto fa cenno di guardare in alto, verso il campanile del nuovo complesso interparrocchiale San Benedetto (troppo complicato persino il nome), mentre è quassù che dovrebbe mirare, sulla cresta del vulcano – un legittimo vulcano – a differenza di quello che sovrasta le Terme Caronte.
Il cimitero da quassù si espande a dismisura, lento digrada come una colata lavica.
Prima o poi ci seppellirà tutti (strizzata di gonadi) se l’accampamento, il castrum, non lo trasferiremo altrove, magari oltre il Bagni, così da fondare un Neo-neocastrum.
Ma il vero problema non è nel difuori; è nel didentro. Il cimitero cresce a dismisura, direbbe Nietzsche, guai a colui che in sè nasconde cimiteri. Stiamo freschi.