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ZALONE E LA SATIRA
Oggi ci vuole ben altro per essere politicamente scorretti... In genere chi lo è davvero è fuori dalla grazia del palinsesto.

È possibile parlare male di Checco Zalone? Muovergli una critica qualunque senza spacciarsi per individuo troppo solenne o addirittura malmostoso, senza che si riceva in contraccambio il jolly “del farsi una sana risata”, anziché star lì a tentare la carriera di Aristarco Scannabue?
Mi sa proprio di no. Basta solamente sfiorare la vacca sacra perché pletore di estimatori, con un puntiglio che rasenta l’offesa personale, levino palizzate di post per dimostrare immantinente quale sia il discrimine fra il critico e il criticato.
Checco Zalone è divenuto negli ultimi anni oggetto di una devozione che trascende ogni dato oggettivo: si tratta all’unanimità di un grande comico. Stop. Ogni cosa del suo repertorio è raccolta, postillata ed infine elevata nientemeno a pietra d’inciampo di quel mostro riconosciuto come politically correct, i cui detrattori sono spesso ad un altro grado di potenza i più politicamente corretti di tutti.

I suoi lungometraggi sono quello che sono e rimangono a nostra disposizione come a quella dei posteri. Il suo “ritratto lucido dei vizi dell’italietta” non oltrepassa la visione nazionale mediata dai Tg. Così basta monologare a vanvera su argomenti relativi a immigrazione o a LGBT (acronimo che sta ad indicare persone con orientamento diverso dall’eterosessualità), perché si depongano dal didietro sonanti ed utili oboli sociali. La formula è trita ma sempre efficace. L’innato cerchiobottismo della persona in questione poi contribuisce a soccorrerlo puntualmente di tutte quelle polemicucce inconcludenti in cui fa sangue chi ha poco o nulla da dire: l’incarto sfavillante che avvolge la pallina di zucchero.

La sua performance sanremese, giocata sulla futile fiaba LGBT ambientata in Calabria, triste apologhetto gremito di cliché e di una trivialità imbarazzante più che scandalosa, pur costituendo l’ovvio input di questo intervento non ne rappresenta il fine. Che i calabri e Luxuria si siano adontati o meno è questione irrilevante. Così come non mi interessano le disquisizioni sul potere della satira e sulla sua linea morale o deontologica, se cioè la satira possa ai fini di efficacia trascenderla o meno. Volevo appunto parlare di esito artistico dato che di questi tempi il nome dell’arte è pronunciato più invano di quello di Dio. Ma penso appunto che qualsivoglia pietanza possa essere ammannita purché consegnata al giusto grado di cottura.
Ora Zalone squaderna per il suo pubblico una comicità alla mano, direi al limoncello fatto in caso. Quando Zalone si trova davanti l’estasi di Santa Teresa ed ascoltandone il titolo osserva candidamente: “si drogava?”, dà l’aria di ricevere sulla sua trasmittente l’ovvia battuta di chiunque finga di ignorare le avventure grammaticali. La boutade che ci sarebbe parsa troppo ovvia e forse fastidiosa nella vita corrente, in lui diviene semplicemente arte. Un po’ come avvenne dell’orinatoio di Duchamp. Con tutto il rispetto per il grande Duchamp. Le sue sortite sono decisamente grasse e ciò non deve offendere la platea che lo ammira, poiché di comicità grassa si ha bisogno almeno quanto della più colta.

Ciò che turba è la sicumera con cui cavalca il tema dell’italiano medio, e con cui non fa altro che annacquare le infinite declinazioni dei grandi mattatori. Roba ormai da teatro di second’ordine. L’italiano medio, per chi ancora non lo sapesse, l’abbiamo seppellito da un pezzo. Oggi non esistono che le taglie magnum o mini. Le nicchie o le tribune. Per cui il comico, con tutta la stima a lui tributata mi pare oggetto di una sopravvalutazione che non ha forse precedenti.  Se la maschera ideale di Troisi era quella dell’adorabile pusillanime, di Verdone quella del galletto trombato che paga puntualmente ogni sua incursione nel territorio dell’alterità, (prerogative squisitamente italiche) Zalone indossa quella dell’idiota cattivo.  Lo scacco al politically correct con cui critica e pubblico corteggiano le sue partiture dà nel suo personaggio l’aria di un filisteismo larvato. Quindi ancora più odioso. Quanto a caratteristiche attoriali l’averlo paragonato all’Abatantuono delle origini è un’altra di quelle stolte e banali genialità. Un po’ come chi affianca Beatles ed Oasis.
Tornando a bomba sull’irrisolto problema dei rapporti di forza, oggi ci vuole ben altro per essere politicamente scorretti… In genere chi lo è davvero è fuori dalla grazia del palinsesto.