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LE DUE VIE DELLA CHIESA
I Papi non scelgono mai il nome a caso: il nome indica un modello da seguire. Così Paolo VI come S.Paolo fu il primo Papa della modernità a riprendere i viaggi apostolici e i Giovanni Paolo I e II si richiamarono ai Papi del Concilio nel senso della continuità. Due Santi, due modelli molto diversi: sarà la storia a decidere quale dei due modelli sarà il più idoneo a cogliere le istanze religiose e sociali dei popoli del Terzo Millennio.

Il Papa Emerito Benedetto XVI ci ha lasciato il 31 dicembre 2022. Dopo nove anni dalle dimissioni e dall’elezione di Papa Francesco, si è conclusa l’anomalia della presenza contemporanea di due Papi nella Chiesa cattolica.
Ma la scomparsa di Benedetto XVI ha dato il via libera a quella parte della Curia e a quella frangia di cattolici che vedevano nel Papa scomparso il difensore della tradizione, in opposizione a quanti invece ritengono che la Chiesa si debba aprire ai problemi della società di oggi.

Questa diversità nell’intendere il ruolo della Chiesa nel mondo è iniziata storicamente con il Concilio Vaticano II indetto da Giovanni XXIII e proseguito sotto il pontificato di Paolo VI. Un Concilio che doveva adeguare la Chiesa Cattolica ai mutamenti intervenuti dopo la seconda guerra mondiale nella politica, nella società e nella cultura di un mondo sempre più globalizzato. Il Concilio ha rappresentato una svolta della Chiesa Cattolica paragonabile soltanto a quella operata nel XVI sec. dal Concilio di Trento per dare una risposta al dilagare del luteranesimo in Germania e del calvinismo e anglicanesimo in altre parti dell’Europa.

Tra le decisioni più rivoluzionarie dei Padri conciliari:

  • i sacerdoti dovevano celebrare la Messa rivolti verso i fedeli, mentre fino a quel momento davano loro le spalle.

  • La Messa doveva essere comprensibile: per cui si doveva celebrare non più in latino, come era sempre stato, ma nella lingua parlata nei vari Paesi.

  • Il famigerato Sant’Uffizio cambiò nome e strumenti operativi e si chiamò Congregazione per la dottrina della fede.

  • Venne riconosciuta la libertà di fede religiosa e la Chiesa si aprì all’ecumenismo, cioè al dialogo con le altre fedi. Ciò comportò anche che, nell’omelia, la parola di Dio dovesse adattarsi alla realtà sociale contemporanea.

  • Restavano e restano ancora aperti temi come il celibato dei sacerdoti, la condizione dei divorziati all’interno della Chiesa, il ruolo della donna nel sacerdozio.

La scelta dei due Papi di chiamarsi col nome di due grandi santi della cristianità può aiutarci a capire le diversità, ma anche la continuità nell’azione della Chiesa Cattolica, soprattutto se consideriamo la rispettiva attività pastorale alla luce delle loro Encicliche.
Tre Encicliche di Papa Benedetto XVI e tre di Papa Francesco.

Le tre Encicliche di Papa Benedetto che, come noto a tutti, è stato un grande teologo tedesco, propongono una rivisitazione della fede cristiana alla luce delle tre virtù teologali, Fede Speranza Carità, attraverso il richiamo alla tradizione dottrinaria della storia della Chiesa.

La prima enciclica di Benedetto XVI (Deus Caritas est), indirizzata nel 2005 alle gerarchie ecclesiastiche e ai fedeli cristiani in tutto il mondo, evidenzia la continuità tra antico e Nuovo Testamento alla luce dei riferimenti ai testi e alla tradizione cristiana nei secoli: Ecco così indicate le due grandi parti di questa Lettera, tra loro profondamente connesse. La prima avrà un’indole più speculativa, visto che in essa vorrei precisare — all’inizio del mio Pontificato — alcuni dati essenziali sull’amore che Dio, in modo misterioso e gratuito, offre all’uomo, insieme all’intrinseco legame di quell’Amore con la realtà dell’amore umano. La seconda parte avrà un carattere più concreto, poiché tratterà dell’esercizio ecclesiale del comandamento dell’amore per il prossimo.”
Due anni dopo, la Spe salvi richiama i fedeli alla virtù teologale della speranza:

«SPE SALVI facti sumus» – nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi (Rm 8,24). La «redenzione», la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente.»

Nel 2009 la Caritas in veritate ripropone la virtù teologale della carità sotto un altro aspetto: “L’amore — « caritas » — è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta […] Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme « Agápe » e «Lógos »: Carità e Verità, Amore e Parola […] La verità, infatti, è “lógos” che crea “diá-logos” e quindi comunicazione e comunione.”
La prima Enciclica di Papa Francesco del 2013 (Lumen fidei) è esplicitamente la conclusione del percorso del suo predecessore sul tema delle tre virtù teologali come è chiarito all’inizio:
Queste considerazioni sulla fede — in continuità con tutto quello che il Magistero della Chiesa ha pronunciato circa questa virtù teologale —, intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza. Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi.”

E poi Papa Francesco spiega che cos’è la Fede per il cristiano ricordando l’episodio biblico di Abramo:
Un posto singolare appartiene ad Abramo, nostro padre nella fede. Nella sua vita accade un fatto sconvolgente: Dio gli rivolge la Parola, si rivela come un Dio che parla e che lo chiama per nome. La fede è legata all’ascolto. Abramo non vede Dio, ma sente la sua voce. In questo modo la fede assume un carattere personale. Dio risulta così non il Dio di un luogo, e neanche il Dio legato a un tempo sacro specifico, ma il Dio di una persona, il Dio appunto di Abramo, Isacco e Giacobbe, capace di entrare in contatto con l’uomo e di stabilire con lui un’alleanza. La fede è la risposta a una Parola che interpella personalmente, a un Tu che ci chiama per nome.

La seconda Enciclica di Papa Francesco è “Laudato si’” del 2015, che inizia così:
«Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».
Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla.”

La terza Enciclica “Fratelli tutti” del 2020 inizia con queste parole:
«Fratelli tutti», scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui».

Come è evidente i temi teologici e dottrinali di Papa Benedetto XVI hanno lasciato il posto a due temi fondamentali della società odierna: la fratellanza tra gli uomini di tutte le fedi e di tutte le latitudini (Ecumenismo) e il rispetto della Natura che, sulla scorta del Cantico di San Francesco, è elevata al livello dell’uomo, perché tutte le realtà naturali sono figlie di Dio creatore e vanno rispettate. E’ evidente anche un altro richiamo al Santo di Assisi: il richiamo alla povertà e alla semplicità reso esplicito dal risiedere di Papa Francesco, tranne che per le ufficialità, fuori dalle stanze del Palazzo Apostolico.

I Papi non scelgono mai il nome a caso: il nome indica un modello da seguire.
Così Paolo VI come S.Paolo fu il primo Papa della modernità a riprendere i viaggi apostolici e i Giovanni Paolo I e II si richiamarono ai Papi del Concilio nel senso della continuità.
Benedetto XVI e Francesco si sono richiamati rispettivamente a San Benedetto da Norcia (480 circa-547) e a San Francesco di Assisi (1182-1226).

Il primo fu il fondatore dell’Ordine benedettino e del monachesimo occidentale: un monachesimo che nei secoli bui del Medioevo ha tramandato la cultura latina, l’amore per lo studio, e le tecniche della lavorazione dei campi, della medicina, e di quanto era necessario all’organizzazione di una piccola società come quella monastica in mezzo alla barbarie. E’ questo modello che consentirà dopo l’anno Mille di avere in Europa una società culturalmente omogenea e pronta ad uno sviluppo in tutti i settori, da quello culturale a quello agricolo, a quello militare. L’Europa era stata unita dalla diffusione capillare di monasteri benedettini in tutto l’Occidente europeo, e per questo San Benedetto è il Patrono dell’Europa, ed è corretto richiamarsi alle comuni radici cristiane dell’Europa.

San Francesco fu l’espressione del bisogno, nella realtà sociale dei Comuni italiani, di una religiosità più vicina agli abitanti dei borghi e più sensibile alle istanze di quella grande parte della popolazione che era critica nei confronti di un clero corrotto, ricco, i cui privilegi contrastavano con la parola dei Vangeli. Il richiamo di San Francesco alla povertà e al modello di Cristo, inizialmente avversato dalla Chiesa di Roma, grazie alla sottomissione di Francesco all’autorità del Pontefice, fu poi considerato uno strumento utile a far rientrare le sette ereticali di quel tempo nell’alveo del potere ecclesiastico.

Due Santi, due modelli molto diversi: sarà la storia a decidere quale dei due modelli sarà il più idoneo a cogliere le istanze religiose e sociali dei popoli del Terzo Millennio.