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Moralità Trasparenza Illegalita’ I candidati al governatorato han dato scarso peso alle tare che affliggono la regione

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Non ha avuto toni accesi questa campagna elettorale. Direi, anzi, che i grandi comizi, gli incontri con le folle cittadine ormai sono ricordi lontani. Oggi per raccogliere consensi basta qualche incontro di rappresentanza in un teatro di città, le solite melense conventicole in casa, una buona segreteria che si muova a suo agio sulla rete e  – questo sì che è inalterata abitudine –  buoni galoppini a distribuire “santini” e,  gratuitamente, “ consigli” per esprimere un buon voto.

Dati gli argomenti triti e ritriti relativi a questa martoriata nostra regione della quale tutti conoscono a menadito i pregi (mare, sole e divina benevolenza) ed i difetti (disoccupazione, evasione fiscale, corruzione, ‘ndranheta) ero sicuro, dopo quanto avvenuto nel consesso regionale appena “licenziato” che i temi focali e roventi  della campagna elettorale sarebbero stati moralità e trasparenza, due parole che sono la punta di un icesberg, che nascondono una massa d’urto fatta di illegalità, mafia, corruzione, voto di scambio. Invece i nostri candidati al governatorato calabro, da Oliverio alla dama di Ferro, da D’Ascola a Gattuso, tranne gli slogan di maniera, sull’argomento non si sono soffermati più di tanto. Certo non conveniva andare ad aprire gli armadi di alcuno, perché, di scheletri ce ne sarebbero stati di tutti i colori, bianchi, rossi e rosati, né, tanto meno fare mosse sbagliate sullo scacchiere politico.

L’altra stranezza colta è che pur vivendo in una terra, definita nel corso del tempo mafiosa da vari rappresentanti istituzionali, tutti i politici tacciono sulla legge Lazzati, la prima e l’unica di iniziativa di un magistrato, il  lametino Romano De Grazia,  approvata dopo diciotto anni dal parlamento italiano che, emendandola l’ha storpiata a suo uso e consumo e per salvare la faccia ha “rilanciato” il 416 bis e ter del C.P. che praticamente c’è, ma fino ad oggi non ha sortito alcunchè perché di difficile applicazione.

Non sto qui a riparlare dei contenuti della Lazzati, ormai noti al colto ed all’inclita, al  politico ed al mafioso, ma una domanda – diceva Lubrano – “sorge spontanea” : perché mai professori universitari, magistrati ed uomini politici di tutta Italia plaudono ad una legge che, in una manciata di articoli, seminerebbe il panico tra le file del binomio mafia – politica, ed in Calabria, territorio ideale per la sua applicazione non se ne fa nemmeno cenno ?

L’ 11 novembre scorso, in qualità di addetto stampa del Centro Studi Lazzati, ho partecipato a Palermo ad un convegno, nell’aula magna della Corte d’Appello, a tema “normativa sul voto di scambio e Legge Lazzati”. Aula gremita di magistrati, avvocati, professori universitari -tra i quali, per ricordarne uno, il prof. Marco Angelini, docente di diritto penale dell’economia all’università di Perugia, autore insieme al presidente De Grazia di uno approfondito, quanto apprezzato studio sulla legge Lazzati. Alle conclusioni del giudice lametino la platea, in piedi, lo ha acclamato invitandolo ad una serie di conferenze nelle città isolane per sensibilizzare l’opinione pubblica.

E noi calabresi non solo cincischiamo riempiendoci la bocca di frasi fatte relativamente a mafia ed antimafia – divenuta quest’ultima, un’attività tesa a tener su collaudati carrozzoni abilitati all’antimafia di facciata – ma come sempre stendiamo un manto pietoso come se il fenomeno non avesse profonde radici nel nostro territorio. Ecco, avrei preferito che dopo quanto avvenuto tra le file dell’ultimo consesso regionale si parlasse prima di tutto di moralizzazione, legalità e trasparenza.

di Maddalena Del Re