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Il Principe nel Paese dei balocchi Riflessioni sulla politica italiana

Gli eventi attuali mi hanno riportato alla mente due libri diversissimi tra loro, ma suggestivi alla luce della realtà presente del nostro Paese: Le avventure  di Pinocchio, che è stato il primo  libro letto da bambino e il De Principatibus. Due opere scritte in momenti diversi della storia d’Italia: alla fine dell’Ottocento il libro di Collodi e agli inizi del Cinquecento il trattato di Machiavelli. Le due opere hanno in comune l’intento educativo: la formazione dei ragazzi il primo, e la formazione di un uomo di governo il secondo.
Pinocchio, nato burattino di legno dal desiderio di Geppetto di avere un figlio da amare, diventa lentamente umano quando, dopo una serie di vicissitudini, superando la naturale tendenza a perseguire il piacere personale e a sfuggire alla fatica, impara ad aiutare il padre, ad affrontare i pericoli per salvarlo, assumendo su di sé la responsabilità di prendersi cura degli altri. Solo allora la sua natura di pezzo di legno muta e il burattino diventa un ragazzo maturo in carne ed ossa. Il passaggio dalla natura alla cultura che governa tutte le società umane, ci dice Collodi, è possibile solo attraverso l’accettazione inconscia o consapevole di una serie di regole che consentono il vivere comune  e della cura reciproca degli uni verso gli altri (v. Heidegger, Lévi-Strauss, Lacan).
Machiavelli, nel Principe, in un momento in cui l’Italia è invasa da eserciti stranieri di stati più forti e organizzati, auspica una nuova visione politica realistica che si allontani dalla configurazione teologica della politica del Medioevo: nasce con lui la scienza politica che prescinde dalla morale e dalla religione per concepire la politica come ricerca dell’utile dello Stato, rapporto di forze tra la virtù del Principe, cioè la sua capacità di interpretare il presente per giovare allo Stato, e la ‘fortuna’, cioè quella serie di eventi che non dipendono da noi ma dalle mutevoli circostanze del reale. Quanto maggiore è la ‘virtù’ del Principe tanto più gli eventi occasionali saranno piegati alle necessità dello Stato.
Né mancherà al Principe -che ottiene il successo nell’azione politica- la possibilità di far dimenticare al popolo che ha conseguito quei vantaggi proprio grazie alla sua azione politica immorale, sleale, irriguardosa dei comandamenti di Dio.
Ci apprestiamo a celebrare, all’inizio del 2018, il democratico rito delle elezioni per il rinnovo del Parlamento.
Nel linguaggio di Machiavelli dobbiamo scegliere un ‘Principe’ che guidi il Paese in una fase storica difficile, perché lo scenario nazionale e internazionale è profondamente mutato nell’ultimo trentennio.
Nell’epoca della postmodernità e della crisi delle ideologie, nella ‘società liquida’ di Bauman, nell’era della comunicazione globale e della post-verità, dove il potere di controllo della comunicazione è nelle mani di pochi gruppi finanziari e multinazionali, ci è rimasta solo l’illusione di poter fare delle scelte libere da condizionamenti.
La comunicazione è spesso banale e superficiale, in quanto sono gli stessi mezzi di comunicazione che ci condannano alla banalità, convincendoci che la verità è nel numero dei followers più che nella validità dei contenuti. La scuola e l’Università, fatta eccezione per alcune realtà, insegnano ma non formano più i giovani al senso dello stato e alla ricerca del bene comune. Si insegna a far bene uno specifico lavoro, ma non si inserisce quell’attività in un contesto che guardi al complesso dei rapporti umani nella società e ai rapporti di equilibrio tra l’uomo e la natura di cui l’uomo è comunque parte.
La politica diventa così ricerca del consenso in tutti i modi, leciti e illeciti, al fine di conseguire benefici individuali o del gruppo di cui si fa parte.
Il Principe non ha più, come sperava Machiavelli, una visione globale del bene comune.  Come Pinocchio i cittadini fanno fatica a trasformarsi in persone consapevoli delle proprie responsabilità.
La politica ci propone l’immagine di un paese dei balocchi, dove tutto è possibile solo perché lo desideriamo: abolire il pagamento del bollo dell’auto, non pagare il canone tv; andare all’Unversità senza pagare le tasse; assegnare a tutti e comunque un reddito minimo di 1000 euro; assegnare a ogni famiglia un reddito minimo di 1250 euro; abolire il Jobs Act; abolire la legge Fornero; istituire un’unica aliquota Irpef al 23 o al 15 per cento per tutti i redditi oltre il minimo, nella convinzione che ciò comporterà la fine dell’evasione e la crescita degli investimenti e ell’occupazione.
Tutti i partiti maggiori si sono impegnati nella compilazione di questo libro dei sogni.
Nessuno dice da dove verranno presi i soldi necessari a far funzionare la complessa macchina del Paese; nessuno dice che ci sono regole rigide di bilancio imposte dall’Europa ai Paesi dell’area euro per contenere il debito pubblico, che in Italia è altissimo; nessuno dice che non siamo liberi di fare politica creativa, pena il controllo di Bruxelles e la ripetizione dell’esperienza Monti, se restiamo nell’area euro. Se ne usciamo invece ci attende una svalutazione della moneta nazionale che è difficile quantificare, ma che è inevitabile e che dovrebbe far paura a chi ha ancora un po’ di senno.
Nel mondo globalizzato c’è poco spazio per la ‘fantasia al potere‘.