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Vaccini Obbligatori e Tecnocrazia Il gregge anche se immune è sempre gregge

Il pensiero in Italia fu da sempre un trabocchetto, un flusso in apparenza libero e spedito, salvo poi ad inquadrarsi in un triste casellario pedante e impiegatizio.
La linea guida, il segnalino ha da sempre in fin dei conti tenuto banco, sin dai “banchi”, appunto, delle elementari, quando si apprendeva l’autoctonia delle maschere (Vien da Bergamo Arlecchino, Stenterello è fiorentino).
Il manto fu da sempre a toppe, forse in assemblamento random, eppure ben distinguibili: niente mezze tinte; bando alle gradazioni di grigio; rosso o nero; sinistra atea, destra cattolica; cosmopoliti o razzisti; nazionalisti o apolidi; pro od anticapitalisti. Risparmiandoci largamente gli odierni inquadramenti.
Questa trista abitudine, appresa sui manuali del nostro corporativismo, continua ad intrudere ogni capillare e diverticolo del nostro sistema culturale. Non parlo di quell’etica dove sia giusto propendere ad una verità puntuale e definitiva. Parlo, ad esempio, della posizione sui vaccini che chiama in causa il diritto personale alla salute… Dicevo diritto? Meglio: dovere, dacché l’obbligatorietà e la propedeutica dell’ambiente cattedratico hanno presidiato anche questo luogo.
Tutti i fogli (definiti giustamente da Camillo Sbarbaro: faccia filistea del mondo) e per estensione tutte le voci mediatiche, ad ogni tentativo chiarificatore schiaffano sul tavolo per tutta spiegazione il solito ributtante grafico retorico, ponendo a levante i magnifici luminari della scienza, tutti compresi della loro eroica missione, chiamati a vigilare per carisma sulla italica salute con rigore e ippocratica moderazione, e, ohimè, scalzati sovente dai loschi guaritori che ammorbano i lazzaretti oncologici di bicarbonato e di somatostatine, laddove la chemio (vogliamo una volta cacciarcelo in zucca?) è attualmente l’unica risorsa, e, aggiungo io, si farà di tutto perché sia sempre attuale; mentre a ponente, riprendendo il filo, piazzano la corte dei miracoli, il popolo bue, non sempre disposto per congenita ingratitudine o infame masochismo a godere dei cumuli di lavoro scientifico protratti nella ricerca e nel progresso, a riparare sotto l’ala profilattica dei suddetti luminari. Tutto qui. Il linguaggio in corso è categoricamente spiazzante. Così ad esempio si parla di epidemie di morbillo. Si scodellano ad ogni volgere di stagione i dati sulla mortalità influenzale. Epidemia di morbillo… quando il morbillo, se la memoria non falla, era fino a poco anni addietro ciò che a un dipresso è la verginità per gli adolescenti di oggi: un peso di cui sgravarsi il più presto possibile. Sono piccoli paragoni che mi faccio a mente e che nulla rilevano.
Quando il vaccino era ancora – fra mille ammonimenti pressoché minatori agli inadempienti –  nella facoltà genitoriale, ci si prendeva carico, dietro sottoscrizione, di unatotale responsabilità nelcaso di esiti nefasti o comunque avversi.Chi la prenderà in carico adesso che hanno levato di mezzo l’alternativa applicando ai renitenti esosissime sanzioni?
Qui si usa il sanissimo principio del sonoro ceffone elargito al povero matto che marcia di gran carriera verso il precipizio: una guancia gonfia vale bene la salvezza di una vita. E se ignorantia iuris non excusat, figuriamoci la salute… Ma, in confidenza e in buonafede, davvero crediamo che la sola ignoranza basti ad offrire in piena volontà il petto al pericolo? Ma se è proprio l’ignoranza la più conservativa e longeva, la più algesica, la più ipocondriaca delle cose! È proprio essa ciò che va invocando come l’appassionato Tibullo: “Tutte le erbe che crescono nella terra tessala, tutto l’ippomane che trasuda dall’inguine della cavalla in calore, purché Nemesi mia mi guardi con occhio benevolo, mescoli pure mille altre erbe, berrò tutto”.
Oggi la tecnocrazia, forse la forma più abietta di potere, esige da noi l’osservanza degli stessi dogmi che ha aborrito nelle professioni di fede. Non avrai altro Dio all’infuori di me.
 Quel che essa non vuole vedere, e qui sta forse l’autentica idiozia, è la forza in atto, lo sguinzagliamento di un diverso antivedere, di qualcosa di inaudito, una possibilità distillata da un’atavica insofferenza. Da dove scaturisce questa volontà? Si tratta davvero di controinformazione o, peggio, di riscosse bio-salutiste suffragate da neo-fricchettoni? O c’è qualcos’altro di più profondo?
Ricordiamo Husserl: “La scienza è pur sempre un’ideazione dell’umanità… sarebbe perciò assurdo se l’uomo decidesse di lasciarsi giudicare da una sola delle sue ideazioni”.
La coscienza delle masse, o l’inconscio collettivo di Jung, è simile a quell’istinto animale che anticipa i movimenti tellurici con disordine momentaneo e schiamazzi scomposti. Tutte le grandi verità e scoperte nascono dalle premonizioni, dai sogni e dall’illogico. Prima ancora della prova vi è il pensiero o l’intuizione. Bisogna sedersi ed aspettare. Alla lunga il popolo ha sempre ragione quando la sua non è la stupida ragione del cliente.