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Lamezia Political Funeral Home Non fiori ma opere di senso civico

Che la pessima politica e la morte procedessero in corteo l’una di fianco all’altra non era una novità. Oggi l’ennesima prova del nove.
Il politicume e la morte, due industrie sulle quali la nostra regione ha sinora fondato il suo avvenire. Un avvenire che è da un pezzo scaduto, sebbene ne venga prorogata di continuo, sovrapponendo adesivi, la scadenza.
Abbiamo il merito di aver coniato un nuovo tempo “indicativo” un futuro non anteriore, ma remoto, poiché da noi si ha l’abitudine di camminare a mo’ dei gamberi, intendo colla faccia rivolta soltanto ai fastigi che furono, quasi come turisti di noi stessi.
Così, passo dopo passo – è inevitabile – si giunge a cozzare di schiena, quando è ormai troppo tardi, contro un presente mastodontico e badiale che lì per lì ci tramortisce. Ma impuniti e caparbi si continua a procedere nel medesimo modo: ossia di schiena.
Questo nella più onesta delle ipotesi, poiché vi sono degli altri, più illuminati, che hanno dato dimostrazione di comprendere a pieno le vere potenzialità del meridione, come i farisei avevano compreso a pieno le potenzialità della vedova e profittando della sua cieca e timorata fede le spillavano, obolo su obolo, l’intero patrimonio.
A forza di repliche lo spettacolo è divenuto stucchevole. Il finale stava già tutte in nuce nell’anteprima.
La politica locale, e non solo, è divenuta tutto un immenso pleonasmo, qualcosa che non rappresenta e che non è rappresentata da nessuno. Siamo al punto – e si tratta di un autentico programma civico più che democratico – di dovere limitarci a vedere in che modo ci si possa personalmente adoprare per lei anziché attenderci dalla stessa qualcosa che mai verrà. La sola espressione elettorale non basta più. Anzi è ormai divenuta cosa da principianti.
Il presente per molti di loro non è un tempo, ma is a present: una prebenda o una bustarella. Il futuro manco a parlarne. “Dobbiamo rosicchiare adesso fino allo stremo e in barba a chi verrà dopo di noi”: è tutta la loro risorsa. Non più cicli ma circuiti interrotti. Ogni volta si deve riazzerare tutto e ripartire.
Ne La banda degli onesti, in una scena svoltasi all’interno di un bar, Totó con fare sibillino, ma risoluto illustrava a Peppino questo atavico sistema solidale: lì sta la zuccheriera, l’Eldorado, la gallina dalle uova d’oro. Loro lo sanno e cavano cucchiaiate di zucchero per farle sparire nel nero del proprio caffè… e continuano e continuano imperterriti, con protervia e faccia tosta… continuano, continuano inguaribili e strafottenti… “Beh, finiranno prima o poi…” esclama Peppino.
Risponde Totò: “Questo lo pensi tu perchè sei un galantuomo”.