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L’INGIUSTIZIA E LA REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA. CHI SONO I RICCHI, CHI SONO I POVERI. E’ TUTTO CONFUSO, NASCOSTO, SIMULATO
Un paese di evasori, furbi e delinquenti favoriti dalla peggiore politica. Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere e peggior sordo di chi non vuol sentire, diceva un antico proverbio. La vera ingiustizia, che il nostro sistema fiscale evidenzia e illustra, non interessa ai politici di tutti i colori, costretti ad inseguire i voti della maggioranza e pertanto a non interessarsi mai alle minoranze. Quindi se la maggioranza dei cittadini italiani paga poco o nulla di tasse è ormai una realtà immodificabile con cui la politica non intende più misurarsi. Soprattutto quelle forze politiche di sinistra che sbandierano sempre e comunque il vessillo dell’ingiustizia contro cui, a parole, combatterebbero, mettono la testa nella sabbia come gli struzzi per non vedere quello che l’ingiustizia fiscale dimostra.

Nel nostro paese chi vota a sinistra quasi sempre lo fa protestando contro l’ingiustizia sociale. Essa nascerebbe da un divario troppo forte tra ricchi e poveri. In America certo è così, perché in un ristorante per ricchi è matematico che non ci puoi trovare un povero e viceversa. Ma in Italia chi sono i ricchi, chi sono i poveri? E’ tutto mischiato, confuso, nascosto, simulato. Andando in giro non lo si può capire, a meno che non osservi i barboni e gli ospiti della Caritas. Se in Italia abbiamo finti poveri e ricchi travestiti da poveri è chiaro che l’ingiustizia non possiamo descriverla per quella che è realmente. Il nostro sistema fiscale è infatti lo specchio di questo fraintendimento, di questo equivoco che una politica scellerata perpetua.
Ha scritto Alberto Mingardi: “Se il Recovery Fund è un percorso a tappe, il 31 luglio segnerà una delle più importanti, perché entro quella data il governo dovrà presentare la sua legge delega sulla riforma fiscale. Il governo Draghi dovrà essere più incisivo (del governo Berlusconi che nel 2011 provò con un’altra legge delega a semplificare le aliquote Irpef) ma la navigazione è difficile. In parte per la composizione della maggioranza: la bandiera di Matteo Salvini è la flat tax al 15%, il nuovo segretario del PD Enrico Letta aderisce ormai al paradigma Sanders-Corbyn, «anche i ricchi restituiscano». Proprio una maggioranza così composita fa sì che gli obiettivi della riforma non siano chiari”.
A sinistra da sempre il fisco è concepito come uno strumento di redistribuzione. La discussione sulle diseguaglianze è funzionale a un inasprimento della pressione fiscale sui ceti più abbienti. Ci sono, però, almeno due problemi. 1) in Italia i contribuenti che dichiarano redditi superiori al 100 mila euro sono poco più dell’1% e già oggi pagano circa il 20% di tutta l’Irpef, dunque il limone da spremere è davvero piccolo. 2) già oggi i redditi più bassi non pagano imposte dirette o quasi: se anche i ricchi pagassero di più, perché i poveri ne beneficiassero dovrebbero essere studiati particolari interventi o programmi di spesa che esulano dalla questione fiscale in sé e per sé”.
Circa la metà delle nostre dichiarazioni Irpef riguardano redditi tra i 15mila e i 50 mila euro, che assicurano il 60% dell’incasso del fisco. Per converso, sono ben 13 milioni gli italiani che non pagano l’Irpef. Sopra i 300mila euro infine vi sono soltanto 40mila contribuenti.
Nonostante questi dati, quante volte in tv avete sentito qualche politico nei talk parlare di “redistribuzione della ricchezza”? Il concetto per chi ascolta è semplice e significa: i ricchi devono dare ai poveri perché in una società ci si deve aiutare. Infatti proprio per questo la Costituzione ha voluto che il nostro sistema fiscale sia “progressivo”, più guadagni e più devi versare. A causa delle elezioni, che scandiscono tutti i mesi e gli anni della nostra politica, viviamo in un perenne clima elettorale che costringe alla spasmodica ricerca del consenso. Per cui mai nessuno presenta in tv (solo sulla stampa qualche articoletto si trova talvolta) il quadro reale della situazione fiscale degli italiani. Tutti promettono soldi e bonus, per la gran parte a debito, cioè a carico delle giovani generazioni. E, per l’appunto, la mitica redistribuzione.
Cos’è e a quanto ammonta davvero la redistribuzione in Italia? Cerchiamo di calcolarla in base ai dati che sono stati elaborati dallo studioso Alberto Brambilla sulle dichiarazioni dei redditi del 2018 e redatte nel 2019.
Ora, quello che nessun politico e giornalista spiega chiaramente è che in pratica oltre la metà del Paese (il 57,72%) vive a carico di qualcuno e certamente non è oppressa dalle tasse. La chiamerò “LA METÀ LIBERA” (dalle tasse).
“È veramente difficile immaginare un membro del G7 in queste condizioni tipiche da Paese in via di sviluppo, ma i numeri parlano chiaro” spiega Brambilla. La nostra situazione “fiscale” è dunque una fotografia falsa della realtà, ecco spiegato perché i prelievi fiscali sono ingiusti e cervellotici.
LA META’ LIBERA.  Noi abbiamo il 43,8% dei contribuenti che dichiara redditi da zero (o addirittura negativi) a 15 mila euro lordi l’anno (la media è di meno di 7.500 euro). Versa solo il 2,42% di tutta l’Irpef mentre un altro 13,84% ne versa il 6,56%. Ciò significa che questo 57,72% degli italiani versa, al netto del bonus Renzi, l’8,98% dell’Irpef, cioè 15,4 miliardi, pari a soli 442 euro in media per ognuno dei 34,84 milioni di cittadini.
TARTASSATI Per capire la redistribuzione bisogna sapere che accanto alla META’ LIBERA vi sono sul polo opposto i “Tartassati”, che sono il 13,08% della popolazione. Sono 5,408 milioni di contribuenti pari a 7.890.586 cittadini. Hanno redditi da 35 mila euro in su (e versano il 59% dell’Irpef). Essi, oltre a pagarsi i propri tributi, servono a versare i  50,3 miliardi  necessari per garantire i servizi sanitari alla “METÀ LIBERA” di italiani. Altri 70,07 miliardi servono per garantire tutte le assistenze alla famiglia, ai soggetti privi di reddito, ai pensionati (quasi il 51% di loro), ai disoccupati e agli invalidi; e anche per finanziare la parte di spesa non coperta dal 43,88% degli italiani senza redditi, e da quelli che versano una imposta inferiore a 5.306 euro (sanità più assistenza fanno 3.637 euro di costo per 1,459 uguale 5.306 euro).
Ecco allora cosa occorrerebbe far capire agli italiani innanzitutto, che solo il 29,20% dei contribuenti è autosufficiente per la SANITÀ. Sette italiani su 10 hanno bisogno che gli altri tre paghino per loro. Vi pare una situazione vera, reale?
La sanità ha una spesa totale di 115,45 miliardi pari a 1.886,5 euro pro capite. La spesa per assistenza a carico della fiscalità costa 105,66 miliardi pari a 1.750,51 euro pro capite (nel 2019 i costi sono aumentati a 114,27 miliardi).
Ricapitolando, per queste sole due funzioni (la terza è la scuola), seppur di rilevante importo (le pensioni sono escluse in quanto quelle vere pagate dai contributi sono in equilibrio), la redistribuzione totale è pari a 174,28 miliardi su circa 580 di entrate al netto dei contributi sociali di cui 245 miliardi di imposte dirette; in pratica viene redistribuito il 71% di tutte le imposte sui redditi.
Alla luce di questi dati si vede che parlare di riduzione del carico fiscale e di redistribuzione per mitigare le disuguaglianze non ha alcun senso.  Perché significa non dire la verità agli italiani, e cioè che di soldi non ce ne sono più; che abbiamo fatto troppo debito; che i nostri giovani con un Paese così indebitato potrebbero perdere la loro libertà economica.
“Sarebbe un atto di alta educazione civica quindi introdurre anche sulle spese familiari il «contrasto di interessi» ed eliminare i tetti minimi per aver diritto ai bonus vari; mandare a tutti i cittadini un estratto conto che indichi le tasse pagate e i benefici di cui hanno goduto, così la gran parte si renderà conto che ha pagato molto meno dei servizi ricevuti; oltre a una certa età (35 anni) convocare chi non ha mai fatto una dichiarazione dei redditi per sapere di cosa vive; infine chiedere ai milioni di neopensionati assistiti il motivo per cui in 67 anni di vita non hanno versato contributi e tasse. Verifiche legittime e, forse, le uniche azioni che consentono di aiutare chi ha davvero bisogno, riducendo l’evasione fiscale per cui siamo primi in classifica”.
Per capire bene il discorso, osservate questo specchietto riassuntivo:

  • 25,25 % dei contribuenti: paga quasi l’80% di tutta l’Irpef.
  • 45,19% italiani: paga solo il 2,62% dell’Irpef
  • le automobili che costano più di 120mila euro sono 10 volte il numero di coloro che dichiarano un reddito lordo superiore ai 240mila euro (120mila netti).
  • 57,72 % italiani: versa l’8,98 dell’Irpef (15,4 miliardi).-il 29,20% dei contribuenti è autosufficiente per la SANITÀ.
  • Sette italiani su 10 hanno bisogno che gli altri tre paghino per loro l’intera sanità e gran parte (il 71%) dell’assistenza.

 Se siete interessati all’ ingiustizia, è giusto che l’88% dei cittadini sia a carico di altri?
Perché un lavoratore che dichiara oltre 35/40mila euro lordi deve essere condannato a pagare la sanità per sé, per la propria famiglia e per altri che magari lavorano meno di lui e vivono meglio, mentre per gli altri è tutto gratis?
Cosa contano in termini elettorali i circa 28mila pensionati anziani a cui è stata tagliata brutalmente la pensione?  Cosa conta il milione di pensionati cui si è quasi eliminato l’adeguamento della pensione all’inflazione e che ha perso negli ultimi 11 anni addirittura un anno intero di pensione? Cosa contano gli 1,8 milioni di contribuenti con redditi sopra i 55mila euro che mantengono il resto d’Italia? Nulla in termini elettorali.
Si preferisce perseguitare quasi il 12% di cittadini che onestamente fa la dichiarazione dei redditi anziché indagare sulle centinaia di migliaia di malavitosi che sono presenti dovunque (governano 8 regioni) e sui milioni di evasori e lavoratori irregolari. Se tutto ciò vi appare giusto, ecco spiegata l’Italia politica vera.