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7 COMUNI CALABRESI SU 10 IN DEFAULT O IN RIEQUILIBRIO
A trentatre anni dall’introduzione della disciplina del dissesto e dieci da quella del riequilibrio, sono state attivate in Italia 1047 procedure che hanno interessato 814 comuni, il 10% sul totale di 7914 comuni. Dal punto di vista geografico, il fenomeno si concentra nelle regioni meridionali, in particolare Calabria, Campania e Sicilia. Nessun caso, invece, in Friuli-Venezia Giulia e in Valle d’Aosta. Aree interne: i comuni che vi afferiscono (1 su 2 in Italia) e che hanno visto attivare una delle due procedure sono 521 (64,6%) sul totale del trentennio. (Stefano Campostrini, Università Ca’ Foscari di Venezia, Professore Ordinario di ‘Statistica Sociale e Sanitaria’).

(Truenumbers, 2020) Un comune italiano su 8 è in dissesto o in riequilibrio (dati 2022). Al 30 novembre 2021 – stando a quanto calcolato dall’Università Ca’ Foscari sulla base dei dati del Viminale – tra i Comuni italiani si contavano ben 698 dissesti e 432 riequilibri. Complessivamente, si tratta di ben 1.130 comuni, contro i 1.083 del 31 dicembre 2020. Ad aggravare la situazione di tantissime amministrazioni italiane sull’orlo del baratro ci si è messa anche una recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato che il rientro finanziario che i comuni avevano programmato di fare in 30 anni deve essere svolto in tre. Quasi impossibile considerando che l’extra-deficit è diventato colossale per molte città. In primis Napoli, dove ha raggiunto la soglia di 946,7 milioni, Torino, che dovrebbe ripagare 429,8 milioni, Reggio Calabria, Salerno, e molti altri comuni, soprattutto del Mezzogiorno, che rischiano di aggiungersi a quelli già in dissesto. Alla fine del 2020 erano 126 i comuni in dissesto, spesso dichiarato da molti anni e già sottoposti a un piano di rientro pluriennale. Come è facile immaginare quasi tutti questi enti locali erano collocati nel Mezzogiorno. E sono le province meridionali tradizionalmente più depresse dal punto di vista economico quelle che hanno il numero di comuni in dissesto maggiore. In testa, con 10 comuni a testa, troviamo quelle di Caserta, di Reggio Calabria, di Palermo. Nell’elenco vediamo località note anche per un’alta densità criminale, come Villa Literno sul litorale campano, o Locri e Taurianova in Calabria, Partinico in provincia di Palermo. Ci sono comuni piccoli e grandi. Accanto a Fragneto l’Abate, mille abitanti in provincia di Benevento, si ritrovano capoluoghi di provincia, come Caserta, Benevento, Catania, che ha 314 mila abitanti, Benevento, Terni, uno dei pochi comuni non collocati nel Sud o nelle Isole. Molti altri centri non sono capoluoghi di provincia, ma comunque popolosi, con più di 20-30 mila abitanti, come Acri in provincia di Cosenza, Giarre, in quella di Catania, Cassino, Milazzo, Melito e Marano di Napoli, Augusta, in provincia di Siracusa.

L’ombrello del predissesto è aperto invece in 151 Comuni, e anche qui il Sud domina raccogliendo il 70% abbondante dei casi
. Le Regioni, invece, non falliscono, ma basta guardare la cartina delle sanità interessate dai piani di rientro (tutto il Centro-Sud tranne la Basilicata, mentre al Nord è interessato il solo Piemonte) per avere un’idea generale. E per farsene una più specifica delle conseguenze pratiche è sufficiente scorrere i dati sui tempi di pagamento (riportati sul Sole 24 Ore del 7 febbraio): a liquidare le fatture alle aziende di farmaci l’Umbria impiega 43 giorni, mentre il Molise ce ne mette 606 e la Calabria, seconda nella classifica nazionale dei ritardi, 275.


Il problema, insomma, è strutturale, e altrettanto lo sono le sue cause. Nel caso dei Comuni, a schiacciare i bilanci è un circolo vizioso fra mancate riscossioni delle entrate e conseguente penuria di risorse per assicurare servizi adeguati ai cittadini, che a loro volta sono indotti a non effettuare i pagamenti a favore di amministrazioni locali che giudicano assenti.
La spirale affonda poi in economie territoriali in crisi, dove l’assenza di occasioni di lavoro ha gonfiato gli organici delle società partecipate; oppure ha creato le sacche di precariato da ricatto, come accaduto in Sicilia dove le migliaia di precari comunali e regionali animano ogni anno le manifestazioni davanti a Palazzo dei Normanni per chiedere alla finanziaria regionale la proroga dei contratti. Proroga che arriva puntuale, per tenere corta la corda fra chi ha bisogno di posti di lavoro e la politica che li concede a tempo.

Per quanto riguarda la dimensione degli enti in crisi finanziaria si osserva che la media di residenti dei comuni in dissesto è pari a 13.264 abitanti, mentre nel caso dei comuni in pre-dissesto la popolazione media è di 23.061 residenti. Sebbene il fenomeno interessi tutti i comuni, la frequenza di comuni di piccole dimensioni è elevata: i comuni con una popolazione inferiore a 5000 abitanti in stato di pre-dissesto sono stati ben 84 (equivalenti al 39% del totale). Quelli con una popolazione da 5 a 10000 abitanti sono 50: il 62% dei comuni in pre-dissesto ha, pertanto, una popolazione massima di 10000 residenti. Numerosa è anche la presenza di piccoli comuni in dissesto: sono ben 54 quelli con una popolazione inferiore a 5000 abitanti, che diventano 79 se si aggiungono quelli con una popolazione compresa da 5 a 10.000 abitanti (la quota di comuni in dissesto con una popolazione inferiore a 10.000 residenti è pari, quindi, al 67% del totale). Questa distribuzione dei dissesti/pre-dissesti riflette, evidentemente, la distribuzione dei comuni italiani per fascia demografica in cui domina la presenza di piccoli comuni.

La distribuzione spaziale del fenomeno. La geografia delle crisi finanziarie dei comuni italiani mostra come le regioni a maggiore frequenza di riequilibri e dissesti siano quelle del Mezzogiorno d’Italia. In particolare, dal 2005 in poi, i comuni interessati da dissesti sono stati 34 in Campania, 29 in Calabria e 25 in Sicilia. In queste tre regioni si concentra il 75% dei comuni in dissesto finanziario (con procedure concluse entro il 6 febbraio 2018). Se a questi si aggiungono gli altri 15 casi ricadenti nelle altre regioni del Sud – Molise (1 comune), Basilicata (2), Abruzzo (6) e Puglia (6), si può ragionevolmente affermare che il fenomeno è specifico delle regioni meridionali. L’analisi dei piani di riequilibrio finanziario indica una maggiore variabilità per regione, sebbene i casi più ricorrenti riguardano sempre i comuni meridionali. Delle 217 procedure censite in Italia dal 2012 al 2017, ben 51 riguardano comuni siciliani, 39 calabresi e 27 campani.

Le cause Le principali cause che determinano le crisi di sostenibilità finanziarie dei comuni sono la presenza di una diffusa evasione fiscale, la scarsa capacità fiscale degli enti, la sovrastima delle entrate e, in molti casi, la presenza di bilanci irrigiditi dalle spese del personale che in Italia pesano per circa il 33% delle spese correnti, con un picco del 36% nei comuni con meno di 2000 residenti. Le conseguenze di queste criticità si sono amplificate a valle della riforma del sistema contabile degli enti locali entrato in vigore nel 2015 in cui si è tentato di ridurre al minimo l’arbitrio nella contabilità degli enti locali.  L’elemento che caratterizza, infine, la geografia delle crisi è l’esasperata concentrazione che si ha in particolare, in Calabria, Campania e in Sicilia. E’ come se la pessima gestione economico-finanziaria dei comuni fosse legata a qualche effetto specifico di queste regioni.  Ora, è certo che ovunque la cattiva gestione di un ente locale determina nel medio-lungo periodo il dissesto finanziario.  Tuttavia, gli effetti della “cattiva gestione” si ampliano se l’ente locale opera in un luogo a bassa capacità fiscale e ad alta evasione di tributi locali. Un’implicazione di questo ragionamento è che – in assenza di soluzioni dei problemi strutturali e di contesto (capacità fiscale ed evasione) – ai comuni del Mezzogiorno d’Italia è implicitamente richiesto maggiore rigore nella gestione economico-finanziaria dell’ente. A parità di errore gestionale, l’effetto sulla sostenibilità finanziaria dell’ente è inesorabilmente maggiore a Sud che a Nord.

Anche il 2021 ha confermato il triste primato della Calabria che già l’anno precedente aveva ben 7 Comuni su 10 in default o in riequilibrio (nell’ordine 201 e 87, quindi 288 Comuni su un totale di 411). Seguono, a debita distanza, Campania e Sicilia, con rispettivamente il 45 e 44% di enti dissestati o in riequilibrio finanziario. Va detto, però, precisa Csel, che assisteremmo a numeri diversi se il governo non avesse adottato, nel dicembre 2020, un provvedimento di emergenza per salvare dal collasso i conti di 193 comuni siciliani con una iniezione di liquidità da oltre 150 milioni di euro. Secondo Saverio Paletta (iCalabresi) “il problema vero della Calabria è la sua povertà endemica, che, unita alla costante decrescita demografica, ha creato un mix micidiale. I Comuni e gli utenti non “guadagnano” abbastanza, quindi non possono pagare a dovere i servizi regionali e la Regione, con poco meno di un miliardo di utili l’anno, deve tappare le falle”.

Due cifre per delineare la tragedia contabile. La prima ammonta a 2 miliardi e 600 milioni. È il passivo totale della Sanità, con i calabresi assoggettati alle aliquote regionali più alte d’Italia per coprire quel che si può di questa voragine ma senza ottenere un’assistenza sanitaria decente. La seconda cifra ammonta a un miliardo circa, ed è il totale dei passivi delle società partecipate, il modo che la politica calabrese ha trovato per aumentare l’occupazione clientelare senza poter più incrementare le piante comunali.

L’urgenza di una riforma. Il numero di casi di criticità finanziaria e, quindi, il ricorso fisiologico agli strumenti del dissesto e del riequilibro (pensati per casi limite) portano alla necessità di rivedere la legislazione sotto alcuni elementi chiave: 1) Tempi certi da ricondurre, per quanto possibile, al mandato elettorale; 2) Affiancamento e assistenza tecnica del comune in difficoltà (poteri sostitutivi nei casi più gravi); 3) Monitoraggio, valutazione e controllo unificata e integrata nel ciclo di bilancio; 4) Definizione di una procedura unitaria di risanamento.