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MARE NOSTRUM
Una strategia per l’Italia e l’Europa. La centralità del Mediterraneo nella storia antica e durante tutto il M.E. si è infranta solo nel 1492 quando Colombo aprì le rotte atlantiche verso il nuovo mondo.

Gli antichi romani definivano il Mediterraneo Mare nostrum, e ne avevano motivo perché, dalla sconfitta dei Cartaginesi nella seconda guerra punica, le coste di questo mare erano tutte soggette Roma e tali rimasero fino al VII sec d.C. quando l’espansione araba in Africa settentrionale e poi in Spagna ne contese il dominio all’Impero romano d’Oriente e alle superstiti città romane costiere dell’Occidente. 

La centralità del Mediterraneo nella storia antica e durante tutto il M.E. si è infranta solo nel 1492 quando Colombo aprì le rotte atlantiche verso il nuovo mondo.

Iniziò allora la fortuna di quella parte d’Europa che s’affaccia sull’Atlantico: Spagna, Portogallo e poi, Inghilterra, Francia, Olanda.
Da quella data il resto del mondo è diventato preda degli imperialismi europei alla ricerca di schiavi, materie prime e di rotte commerciali in tutti gli oceani.

Questo ciclo, che è giunto al suo apice nel XIX secolo, si è concluso nel Novecento a causa di due guerre mondiali in cui gli stati europei si sono dilaniati a vicenda, e si sono estinti l’Impero asburgico, l’Impero tedesco, l’Impero ottomano e l’Impero russo.
La seconda guerra mondiale si concluse con la fine dell’Impero italiano in Africa, dell’Impero francese e dell’Impero inglese.

Dopo la vittoria nella seconda guerra mondiale, gli USA sono rimasti l’unica potenza mondiale. Hanno favorito e sfruttato la ricostruzione economica e sociale dei Paesi europei occidentali, assumendosi il compito di difendere l’Occidente europeo dalle mire espansionistiche dell’Unione Sovietica comunista, il cui esercito aveva contribuito alla vittoria degli alleati in Europa, ma aveva anche occupato e inglobato con la forza nell’orbita comunista sovietica buona parte dell’Europa orientale.

Fino al 1989 in Europa e nel mondo si sono avuti due blocchi guidati da due sole potenze globali: gli USA per l’Occidente liberaldemocratico, e l’URSS per l’Europa comunista e gli Stati asiatici vicini alla Cina comunista di Mao Tse-Tung.

Questa realtà bipolare, giustificata dal possesso di due grandi arsenali atomici, si è conclusa con il crollo improvviso del regime comunista dell’Unione Sovietica, la riunificazione della Germania e la costituzione in Europa di una serie di Stati ex-comunisti formalmente indipendenti da Mosca. Tra questi l’Ucraina.

La fine del comunismo sovietico ha prodotto nelle società liberal-democratiche l’illusione della impossibilità di nuove guerre mondiali a causa del rischio dell’uso delle bombe atomiche, e la convinzione che le controversie tra le grandi potenze si potevano ormai risolvere col buon senso nelle sedi internazionali come l’ONU e nelle intese tra grandi potenze.
Sembrò l’inizio di un’era di pace e di sviluppo anche perché rese possibile la globalizzazione dei commerci, delle comunicazioni, del sistema finanziario.
L’annessione della Crimea strappata dalla Russia all’Ucraina nel 2014, e poi l’invasione delle regioni meridionali dell’Ucraina culturalmente più vicine alla Russia il 24 febbraio del 2022, hanno posto fine a tali illusioni: possiamo discutere sulla responsabilità o speculare su ‘a chi giova tutto questo’, ma i fatti non cambiano.
Si è innescata una crisi che coinvolge l’Unione Europea e indirettamente buona parte del mondo e ha provocato una crisi alimentare e una crisi energetica causata dalle ritorsioni russe alle sanzioni occidentali.
Meno evidente è il fatto che si è chiuso il ciclo dei blocchi guidati dalla URRS e dagli USA e se ne è aperto un altro in cui gli equilibri sono tutti da ridefinire.

Negli ultimi trenta anni, grazie alla globalizzazione, la Cina e tutti gli Stati che s’affacciano sull’Oceano indiano e sui mari intorno alla Cina e al Giappone hanno goduto di un enorme sviluppo dovuto alla cooperazione con industrie europee e statunitensi, che hanno delocalizzato la propria produzione e intrecciato le proprie economie con quelle asiatiche emergenti.
Il teatro europeo è diventato così per gli USA meno vitale rispetto a un mercato asiatico più promettente, e i loro sforzi strategici e militari si sono intensificati in quell’area. Non che l’Europa sia stata messa da parte, ma tutto è cambiato e gli USA si attendono dagli Stati dell’Unione Europea uno sforzo militare maggiore per compensare il loro maggiore impegno militare a protezione degli alleati nell’Oceano Pacifico e nell’Oceano Indiano.
E’ vero che la NATO si è rafforzata notevolmente a Nord con l’ingresso dei nuovi Stati baltici, ma nel lato meridionale dell’Europa, nel Mediterraneo, le cose sono cambiate notevolmente.
Una serie di interventi militari nell’ex-Jugoslavia, nella Siria, in Libia hanno destabilizzato l’area e favorito l’intervento di Turchia e Russia, due Stati con una storia imperiale alle spalle che aspirano a riprendersi quanto perduto o ciò a cui aspiravano. 

E’ il caso della Russia che ha realizzato l’antico sogno di avere uno sbocco nel Mediterraneo: la base siriana di Tartus risale al 1971, all’epoca dell’Unione Sovietica, ma dal gennaio 2017. grazie ad un nuovo accordo con la Siria, la Russia può usufruire della base per altri 49 anni e godere della sovranità sul territorio.

Questo consentirà di potenziare la base per ospitare grandi navi da guerra.
In questi mesi una grande flotta russa da guerra si è spinta nelle acque del Mar Ionio al largo della Calabria per ricordarci che Il Mare nostrum è un po’ meno nostrum.
Il Mediterraneo oggi è ridiventato centrale nello scacchiere europeo perché da qui passano le rotte dei metanodotti, dei collegamenti internet, delle rotte commerciali col resto del mondo attraverso Gibilterra e il Canale di Suez.
Attraverso il Mediterraneo giungono i migranti che dall’Africa e dall’Asia sperano di entrare nell’Unione Europea per trovarvi migliori condizioni di vita.

Una Comunità Europea che non abbia una politica estera comune capace di stabilire rapporti diplomatici e di offrire aiuti direttamente agli Stati africani lascerà ad altre potenze maggiori margini di manovra e di ricatto.

Non possiamo lamentarci dell’ingerenza americana nella politica europea se la Comunità Europea non riesce a promuovere una difesa comune integrata che costituisca un deterrente credibile.

Tutto ciò comporta per l’Italia e l’Europa la necessità di considerare primario lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia per fornirlo delle infrastrutture necessarie al ruolo centrale che le nuove strategie richiedono. 

Fare campagna elettorale con le solite promesse clientelari a questa o a quella categoria senza parlare di riforme a tutti i livelli e senza una visione strategica dei mutamenti avvenuti avrà conseguenze gravi per l’Italia e per l’Europa.