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Da Cosenza il nuovo corso della politica calabrese Occhiuto sindaco e De Grazia consulente

Mario OcchiutoMalgrado  i teoremi  e le alchimie politiche, malgrado le strategie elaborate, a destra ed a sinistra, se ancora questa distinzione ha un significato, Mario Occhiuto, sfiduciato dalla sua stessa maggioranza all’inizio del 2016,  ha vinto a Cosenza ottenendo una fiducia  plebiscitaria.
I piani orditi dal Pd e la sua insignificante presenza hanno fatto il resto. Occhiuto, sottinteso ma non dichiarato candidato di Forza Italia, ha avuto il 60% delle preferenze e, sottobanco, i favori di non so chi. Certo è che, stando ai numeri, l’elezione di Occhiuto è stata certamente ottenuta anche grazie alle “incursioni” della destra.
Sarò il sindaco di tutti – egli ha detto. Frase di circostanza, trita e ritrita, che però questa volta assume un suono diverso e si carica di intenzioni foriere di avvenimenti che potrebbero dare il “la” ad un modo nuovo di far politica in questa regione, che gira sempre attorno al bubbone e non affonda mai il bisturi, che della democrazia liquida ha fatto un espediente per meglio legittimare inciuci e pasticci.
Non ho l’intenzione di andare a fare analisi per scoprire il dna del voto silano, ma certo è che Occhiuto ha varato la sua giunta, che annovera Vittorio Sgarbi e padre Fedele Bisceglia, Jole Santelli e Loredana Pastore, Matilde Lanzino e Rosaria Succurro, nel pieno rispetto del segnale che è arrivato dalla città: un voto al di là dei pregiudizi e degli steccati politici.
Chapeau, mi tolgo il cappello difronte a simile dichiarazione di intenti e, a fronte di questo parterre, mi ritolgo il cappello, non avendo niente da eccepire di fronte alle scelte innovative, coraggiose e, soprattutto, trasparenti di Occhiuto, nel cui comportamento si ravvisano, al di là delle intenzioni, i primi segni di un modus operandi nuovo a queste latitudini, anche se “stona”, nello spartito, qualche nota.
Il sindaco, rieletto in barba a tutte le manovre e strategie messe in atto dagli avversari, ha quindi, barra a dritta, composto “una giunta più aperta al sociale, molto umana, che rispetta il segnale arrivato dalla città”.
Ha impostato, Occhiuto, il suo programma di lavoro su legalità e trasparenza. Ha promosso una short list di collaboratori esterni, pubblici e privati, per i programmi comunitari, nazionali e regionali. Ha stipulato una “polizza assicurativa”, in tema di glasnost e perestroika, delegando l’incarico di verifica e monitoraggio degli atti in materia di anti corruzione, e della fattispecie del voto di scambio, al dottor Romano De Grazia, presidente aggiunto onorario Suprema Corte di Cassazione nonché autore della legge Lazzati. Il giudice, a titolo gratuito, supporterà il neo sindaco nella formalizzazione di procedure finalizzate alla prevenzione della dilagante corruzione negli enti pubblici.Romano De Grazia
Pur non rinunciando alle mie perplessità sul concetto di democrazia liquida finalizzato, ad oggi, allo sdoganamento del principio  “chi va a letto con mamma è il mio papà”, non ritengo, nella fattispecie Occhiuto, che persone così diverse per estrazione e cultura politica si siano messe insieme per recitare un ruolo da comparse in un copione vecchio e stantio.
Comunque, bando agli infingimenti: tutti sanno dell’amicizia che mi lega a Romano De Grazia. Fui suo collaboratore, cinquant’anni fa, sulle pagine di un quotidiano romano dal quale, per dignità, fierezza e onestà intellettuale ci dimettemmo per non sottostare alle pressioni politiche di qualche personaggio molto incline ai compromessi; costui, allora alla ricerca d’autore, oggi  svolge il ruolo di saggio e pensoso consigliore.
Per via di questo nostro antico rapporto, delle battaglie politiche combattute insieme, non ho alcuna remora nel porre a Romano, senza la formalità dei ruoli, domande che tutti si pongono, ma che non esternano. Oggi – ghiotta occasione il ruolo offerto da Occhiuto al giudice – è giunto il momento di dare sistemazione alle  tessere del mosaico.

Romano, colgo nei tuoi confronti una palese discriminazione: apprezzato sul territorio nazionale, ignorato in patria. E’ la conferma del vecchio detto “nemo propheta in patria”?
Veramente la domanda la dovresti porre a coloro i quali da tempo ormai  si autoreferenziano a Lamezia come intellighentia di sinistra. Non hanno una spiegazione, non la danno e la mia interpretazione è che l’antipatia nei miei confronti sia a livello emotivo e di pelle. Questo  malanimo è cominciato negli anni giovanili, ai tempi della battaglia referendaria per il divorzio. Redassi, allora, un documento, in punto di diritto, a  favore del divorzio al quale aderirono ben quaranta magistrati calabresi, io primo firmatario. La sezione lametina di Botteghe Oscure, gestita all’epoca dai fratelli Karamazov, utilizzò il documento omettendo, però, ogni riferimento alla mia persona. L’atteggiamento discriminatorio continuò nella battaglia successiva per i decreti delegati e nonostante l’epidermica avversione personale da parte dei soliti noti, fui eletto primo presidente del Liceo Classico “F. Fiorentino”.

Un’antipatia, quindi, che parte da lontano e che non ha seri motivi di contrapposizione…
Proprio così, non ha nulla di culturale ed io ho fatto sì che la loro condotta affogasse  nell’adrenalina  prodotta dalla loro accidia.
Comunque, al di là di questi poveri uomini, la sfida del Centro Studi Lazzati continua e, nonostante l’ostruzionismo messo in atto da questi poveri uomini,  la legge Lazzati è conosciuta dalle Alpi alle Piramidi.

Non temi che queste epidermiche antipatie possano verificarsi ancora?
Unidcesimo comandamento
Non credo, ma il fatto non mi preoccupa più di tanto. Nell’ottica di questa sfida culturale ho accolto l’invito di un amministratore illuminato quale si è dimostrato Mario Occhiuto, che ha sbaragliato sul campo contorsionisti,  corrotti ed impostori.
Mi ha chiesto di realizzare a Cosenza una grande sede del Centro Lazzati, impegnandosi a far di tutto perché  il Parlamento approvi la legge nel suo testo originario; a riprendere la realizzazione del film Undicesimo Comandamento che è quello di Non uccidere la speranza e ad affrontare le tematiche connesse alla corruzione nelle pubbliche amministrazioni.

Non è certo un programma da poco…
E’ vero, ma ciò non mi comporta enormi sacrifici,  in quanto si tratta di temi esaminati, da anni, dal Centro Studi. Essi costituiscono il nostro pane quotidiano, il nostro operare serio, responsabile ed illuminato, lasciando, invece organizzare, a coloro che non hanno progetti e che, da  ciarlatani, abusano della credulità popolare, marce, fiaccolate, gerbere gialle e navi della legalità.

Non ti chiedo di essere più chiaro perché ho già inteso che alludi alle manifestazioni di parata, alle infiltrazioni politica-mafia…Lasciate che i morti
Proprio così. Manifestazioni che non incidono sul voto di scambio, eppure continuano a far registrare affollamenti solo nel sud. Come la famiglia Tripodi di Polistena – non è un partito –  che, unitamente ad Avviso Pubblico, ha organizzato di recente una parata senza significato. Da calabrese, mi rifiuto di essere trattato come un  grullo.  Lasciate che i morti seppelliscano i morti nelle vecchie arche dei cimiteri politici.

Romano, mi par di capire che da Cosenza parta un forte segnale di cambiamento…
Proprio così. Al di là delle appartenenze, ho accettato l’incarico offertomi da Mario Occhiuto, convinto che, insieme, possiamo dare una svolta all’asfittica politica di questa martoriata regione. E‘ la stessa svolta, è lo stesso ardire culturale che ebbero, anni fa,  persone di grande spessore come Fausto Gullo, Giacomo Mancini e Riccardo Misasi. Oggi rivivo lo stesso clima di quando –  febbraio 1968 – ebbi il mio primo incarico di pretore di Cosenza. A Cosenza, dotta ed intelligente, ebbi il battesimo del fuoco. A distanza di tempo, con lo stesso impegno ho accettato l’incarico affidatomi.