Vai al contenuto

Tanto rumore per nulla Antimafia salottiera: cui prodest?

20161018-in-trincea

Sosteneva il filosofo napoletano Vico che alcuni accadimenti si ripetono, anche a distanza di tempo, con le stesse modalità non per caso, ma per preciso ordine costituito. Nella sua teoria i cicli – divino, eroico ed umano – si ripropongono con regolare puntualità. Senza mancargli  di rispetto nel chiamarlo in causa per gli attuali, banali, umani fattoidi, ritengo che l’Antimafia, quella dai fulgidi natali e dagli adamantini intenti,   dopo aver percorso gli storici cicli vichiani, giunta oggi a quello umano, sia finita nella melma paludosa del malaffare e dell’arricchimento facile, trascinando nei gorghi alme d’eroi, preti alla moda, bugiardi incalliti e prodighi banditori di sante crociate.
A scoperchiare il verminaio antimafioso due libri/denuncia che, appena editi, sono in testa alle classifiche delle vendite: Coop Connection del giornalista e scrittore Antonio Amorosi ed I Tragediatori di Francesco Forgione, già presidente della Commissione parlamentare antimafia dal 2006 al 2008.
Due testi che certamente lasceranno nel lettore segni profondi, ma anche l’amara consapevolezza di essere stato preso per i fondelli da marpioni e millantatori di ogni risma, con la benedizione del Palazzo e del mondo dei media, che ce li ha somministrati, a tutte le ore, come  paladini dell’antimafia e della legalità.
Il vaso di Pandora così scoperchiato, tra l’altro, mette in evidenza il fiume immenso di denaro elargito, con grande prodigalità e con criteri clientelari e personali, dai nostri numi tutelari ad organizzazioni che, smarrita la loro ragion d’esistere, dovrebbero essere dichiarate quanto meno, ad “illegalità diffusa”.
Proprio in questi giorni Antonio Amorosi ed il giudice Romano De Grazia – autore della tanto odiata legge Lazzati –  stanno tenendo una serie di incontri in tutte le città calabresi con enti, istituzioni e scuole, finalizzati alla sensibilizzazione, all’informazione su quanto sta avvenendo nella nostra Italia. Il  “tour”, il cui cartello è proprio la denuncia di quel mondo ambiguo e  subdolo, come è oggi quello dell’antimafia di parata, toccherà  molte città italiane. Certo, non è e non vuole essere un tiro al bersaglio, però il fatto che tanti predicatori di legalità siano caduti nella polvere, evidenzia che l’antimafia ha  vita difficile e quella che ci era stata propinata come la panacea per un ritorno alla trasparenza ed alla legalità, alla fin fine, deposta la maschera, si è rivelata solo farneticazione e  predicazione da messa domenicale.
Di questa deriva dell’illegalità, di questa antimafia da talk show stile “gilettiano”, dovrebbero fare  pubblica ammenda, prima di ogni altro, i fieri custodi “di superba gloria”, quelli che si sono alternati sull’ambita poltrona della procura nazionale antimafia senza avvedersi dell’evoluzione che la mafia  ha avuto nell’ultimo ventennio e, di contro, delle carenze dell’antimafia gridata dall’alto di palchi e consessi a garantita presenza di consenzienti. Accompagnati anche da coloro i quali hanno creduto e credono che quell’ art. 416 ter c.p. – sì, proprio quello che i  giudici di trincea definiscono più favorevole all’imputato che al magistrato inquirente – potesse fermare il voto di scambio ed il triste, perenne connubio politica-mafia. Prova ne è che le condanne per voto di scambio politico-mafioso si possono contare sulle dita di un mano.
Dovrebbero far codazzo, poi, tutti i beneficiati di questa antimafia da operetta, declinata con fiaccolate anzi che con meeting ad alto contenuto letterario, e condita, di tanto in tanto, da poco convincenti attentati.
Ma che ci azzecca la teoria dei corsi e dei ricorsi del filosofo napoletano con l’antimafia pantofolaia e salottiera?
Apparentemente nulla. Ma se consideriamo il portato giuridico del 416 ter c.p. e gli effetti prodotti, forse le tessere del mosaico vanno al posto giusto.
Esso fu introdotto nel 1992. Per la prima volta si parlò di voto di scambio, cioè voti in cambio di denaro. Connubio, quindi, tra politici o aspiranti tali e malavitosi. Si levarono alti gli squilli di tromba degli araldi governativi per il vuoto legislativo che si andava a colmare, ma altrettanto clamorosi furono i flop fatti registrare dall’inutile legge varata.
Da quel dì, un ventennio di appelli della magistratura e delle varie forze politiche ai governi succedutisi non hanno sortito alcun effetto riformativo della legge, malgrado illegalità, corruzione e tristi sospetti connubi la facessero da padrone sulle scene giudiziarie.
20161018-aula-di-tribunaleFino al 2014, quando il “governo del fare” modifica il 416 ter: …chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui all’art. 416-bis in cambio dell’erogazione di denaro o di altra utilità… è punito con la reclusione da quattro a dieci anni”.
Peccato che, per qualche interpolazione di manina rimasta ignota, pur avendo la legge ampliato il campo d’azione, richieda ai magistrati inquirenti elementi probanti (la prova di scambio) di  acquisizione pressoché  impossibile. Il che la rende di difficile applicazione, anzi del tutto inutile.
E’ la stessa cosa avvenuta con la legge Lazzati, diventata tale il 2010, dopo diciotto anni di palleggiamenti: al momento dell’approvazione l’on. Enrico Costa, oggi ministro del governo Renzi, coup de theatre, ebbe l’estro, la furbizia o la fantasia, di trasformare il divieto di attività di propaganda elettorale ai sottoposti alla sorveglianza speciale in divieto di affiggere manifesti e distribuire volantini. Emendamento risibile, che l’ha fatta diventare un’altra legge inutile. In attesa di  “ripristino “- chissà quando –  nella sua versione originale, la legge Lazzati giace in qualche cassetto della commissione Affari Costituzionali.
Ebbene, le coincidenze e le miserabili sorti  della Lazzati e del 416 ter c.p. sono tante e tali da far pensare che tutto avvenga non per caso e stimolano mille pensieri: siamo difronte ai corsi e ricorsi di vichiana memoria oppure conviene che  l’Antimafia sia solo di parata e salottiera?
Cui prodest? A tanti, ad una moltitudine di gente che vive sull’arrembaggio al pubblico denaro. Al politico corrotto che, senza il voto di scambio, non avrebbe né arte né parte. A qualche predicatore di legalità che, forse,  farebbe meglio a dire un Pater o un’Ave in più, sempre che ne ricordi le parole.