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Azzeccagarbugli e capponi Soriero nominato commissario del partito del Pd lametino. Primarie a rischio

Renzo ed i capponiLa vicenda manzoniana è nota: Renzo, focoso e combattivo, ma reso docile dalla dolcezza dell’avvenente Lucia, si avvia per andare a chiedere consigli al saggio Azzeccagarbugli, con in mano, penzolanti, quattro capponi, legati in un groviglio di zampe dalla popolana Agnese. Malgrado l’infelice posizione e gli sbalzi provocati dal tumultuoso comasco che, durante il cammino – rimuginando sui soprusi del signorotto del paese e sull’ignavia di don Abbondio – scuoteva quelle povere bestie, esse si ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, ignare della ingloriosa fine che le attendeva.
Cambiando le parti in commedia, al posto di quella cima d’uomo dell’Azzeccagarbugli metti il vetero comunista Soriero, da poco nominato commissario della locale sezione del Pd; al posto della Agnese metti la nostra signora Doris Lo Moro, che potrebbe essere la musa ispiratrice di questo commissariamento – fuori luogo, fuori tempo e senza significato – responsabilità, forse, condivisa con il nume tutelare on. Scalzo, neo presidente regionale, calato nel ruolo del prepotente signorotto di manzoniana memoria; Il sindaco Speranza, anche lui dal fulgido passato “frattocchiano” che lo lega a Soriero, nel ruolo di terzo incomodo desideroso di far dimenticare di essere stato il number one delle maggioranze a geometria variabile, nonchè i tristi connubi intessuti con l’on. Galati, signore delle tenebre, ma dell’altra sponda dell’Ade; Petronio, invece, dissenziente, forse presagendo torbide manovre elettorali, nella veste dell’ultimo dei cavalieri; manca Lucia che, in attesa di momenti più appaganti e soddisfacenti, rammenda le calze del promesso sposo.
A casting completo, quindi, il Pd lametino si accinge a mandare in onda un remake del capolavoro manzoniano, dove la scena madre è rappresentata dai capponi che, pur votati alla morte, trovano il tempo di beccarsi l’un con l’altro.
L’allegoria è chiara: la città langue in ginocchio, senza prospettive di sviluppo, dilaniata e depauperata nella sua essenza, mentre chi avrebbe dovuto costruire su questo mucchio di macerie gioca a far la guerra per accreditare il suo protetto. E’ una storia, questa dei democrat lametini, che si perpetua e non trova mai la parola fine. Anzi, nel momento in cui compattezza e unicità di intenti dovrebbero farla da padrone, i capicorrente giocano a cavacecio strafottendosene delle condizioni della città e del rischio politico al quale la espongono. Così avviene – per le candidature dei pieddini accreditati – che Lo Moro sponsorizzi Cavaliere, Scalzo mandi avanti Zaffina, Petronio sostenga Cosentino, Reale balli coi lupi, a meno che non sia nei pensieri stupendi del neo commissario Soriero. A questi, poi, si aggiungono gli outsider: Grandinetti, Falvo, Panedigrano, Sonni, Leone, mentre Piccioni si è ritirato dalle primarie puntando direttamente alla poltrona di primo cittadino come esponente di Lamezia Insieme – sua lista – e di Sel.
Comunque, al di là delle locali camarille, questi commissariamenti a orologeria cominciano ad avere un puzzoso olezzar; anzi il ricorso alle sospinte esterne sovraintendenze fa intuire che la federazione del capoluogo vuol dire la sua e condizionare scelte che, invece, dovrebbero riguardare solo i lametini.
Con queste premesse, andare alle primarie – se mai si faranno – per scegliere, tra nove candidati, chi dovrà indossare il laticlavio, espone al serio rischio di conferire il mandato, magari per una manciata di voti, all’asino di Buridano. Così come è inutile e insulso aver conferito il mandato commissariale al vetero, catanzarese, comunista Soriero. Con tutto il rispetto che egli merita, il suo compito non è certo facile, in quanto l’imposizione della candidatura di chicchessia, al punto in cui si è giunti – già 3000 lametini hanno firmato le candidature – significherebbe per i democrat la capitolazione. Soriero potrebbe forse tentare di placare gli istinti barricadieri di quanti non vogliono prendere atto che, finita la parabola ascensionale, inevitabilmente inizia quella discenzionale. Se poi egli alla democrazia preferisce la democratura – parola composta da demos (popolo) e kratos (potere) – come già accaduto in Liguria, in Emilia e Romagna ed in Campania, faccia pure. Ne ha il mandato.

Contromano

Con eleganza e dotta competenza l’on. Doris Lo Moro ha cercato di stravolgere la lingua madre,  sostenendo – l’altro giorno – su un quotidiano calabrese, che “ coordinamento o commissariamento è uguale”. Il dizitaliano, però,  non concorda con l’interpretazione della nostra rappresentante nella stanza dei bottoni, anzi recita : coordinamento, raccordo tra più elementi in vista di un dato scopo; commissariamento: sostituire i dirigenti di una struttura organizzata, attribuendo la gestione ad un commissario nominato di autorità.
Le sembra, on.le Lo Moro, la stessa cosa? Comunque coordinatore e commissario anche sul piano giuridico sono figure assolutamente diverse. Ciò farebbe arguire, malgrado gli incarichi che ricopre nel palazzo, che lei, ormai da parecchio tempo, non fa l’operatore del diritto. Quindi due son le cose : o lei conosce bene le differenze tra i due termini o fa finta di non saperlo, il che è peggio. E questo, ormai, è un revival che i lametini conoscono.