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Se e’ carnevale lo e’ per tutti LA POLITICA “ALL’INCANTO” DI PAGLIACCI

Nel lontanissimo 1994 – emergendo dalla piena di “mani pulite” – un certo cavaliere di caucciù,  attraverso una strenua e misurata egolalia, forte di una mediaticità che ne dava efficace risonanza, affermò la sua figura di imprenditore vincente e di paladino da libro di lettura. Insomma una sottospecie di Garibaldi con in meno il fazzoletto rosso, ma in regola con la massoneria.
Anime forti stigmatizzarono il suo frasario da piazzista, e ci misero in guardia da un certo tipo di antipolitica, ciarlatana e democratica nell’accezione peggiore.
Quale nefasta Cassandra o morboso Nostradamus  l’avrebbe mai additato come precursore della maniera corrente di intendere l’acquisizione del consenso popolare? Oggi,  anno domini 2018, la trafila è, sputata, la medesima: i suoi punti acquisiti si possono tranquillamente vergare su un’unghia:
– smettere i trampoli dell’alta politica, quella tutta diplomazia e buon gioco;
– scendere fra il pubblico con le mani in tasca (non tra l’elettorato, ma tra il “pubblico”: il vero politico ha sempre un’ideale videocamera davanti);
–  vituperare bassamente l’avversario come fece Roma coi cartaginesi. Qui sta tutto alla verve del politico;
–  dar libero sfogo al frasario suddetto senza temere di offendere l’intelligenza del corpo elettorale attivo, in quanto la biada è sempre gradita a un affamato armento.
Con questo minimale vademecum i giocolieri sono discesi in piazza per queste elezioni, producendosi fin dalle prime mosse in evoluzioni miracolistiche, nell’interstizio ideale fra il circense e la casa d’asta, e profondendo numeri o lotti alla ricerca di un “aggiudicato”. Si direbbero patetici non fosse l’odiosa sicumera e la presunzione di buon governo di cui si fanno ugualmente mallevadori dopo la caterva di passate cilecche.
Promettono opoponaci per la sanità, lavoro a ufo con salario minimo garantito, nessun costo d’immatricolazione agli atenei, e per questa via mani specializzate pronte a dirigere le nostre minzioni perché vadano a segno.
Promesse assurde? Nessuno può garantirlo. Alcuni anni fa, con benedizione dei municipi, fu estirpato l’imu, l’iniquo balzello, secondo giuramento formulato. Chi di noi allora potè gridare al tradimento, considerare disattesa la volontà preelettiva? Certo siamo in dissesto comunale, penuria di mezzi pubblici e abbondanza di pattume, erogazioni idriche nella proporzione e nel tenore siculo, bollette e multe integrative lievitano come serpi dai corbelli, ma la parola ha avuto pieno adempimento… E ci sta bene.
Ora ci si promette la rivisitazione di qualche altro acronimo, forse l’IVA, l’IRPEF, l’INRI o il MANE TECHEL PHARES, che pende innanzitutto sui loro crani; forse si considera il caso di pigliarli in blocco, di fonderli assieme in un fascio per poggiarli meglio in spalla.
Che ne è quindi della terra bruciata e del sale sui colti della ripresa italica, che ne è infine del dogma del debito pubblico perpetuamente sventagliato in faccia agli italiani? Una nuova età dell’oro è sorta, dove tutto è possibile.
Facciano pure: tutto a sua volta può entrare e uscire dalle loro taumaturgiche mani. La prestidigitazione avviene in maniera semplice e piana: si tratta di spostare da una tasca ad un altra una certa porzione di capitale che come le vacche di Mussolini è sempre quella… Mentre il più del malloppo è custodito dietro i cordoli ad alta tensione dei caveau, appannaggio esclusivo dei Cerberi dell’economia. Per noi tapini, invece, vale sempre la buona sentenza che il denaro non si semina in terra e  che i lupini non sono marenghi sebbene gialli e tondi.
Consci delle nostre debolezze, tentano indistintamente la via breve ai nostri cuori immemori, che oggi è decisamente quella dell’antipolitica. Sono apparentemente dei nostri, compagni di vicolo, non digrezzati e schietti (cfr. la riottosità che fa capo alle loro conferenze stampa).
Paradossalmente il loro intento non celato è di dividerci,  perché è nella divisione popolare che impinguano questi signori e nella parzialità strutturata del loro modo di intendere la democrazia.
Come prospera il lenocinio – perchè in definitiva ci sono quelli che vanno a prostitute – questo particolare tipo di politica sussiste in virtù di una certa utenza: quella che non si perita di fissare esclusivamente il proprio ombelico, in barba ai sommersi e agli annaspanti. “Mors tua, vita mea”.
E giù per questa china, fino a che il nostro stesso corpo animal democratico (l’autentica forza popolare), fiutato l’odore di marcio, adotterà per noi la suprema catarsi: mandare a Patrasso queste loro fanfaluche peregrine, questi farfugliamenti da marinaio in licenza; fare come analfabeti ad una firma e martirizzare questo bel manipolo di sigle dietro una sola grande croce; dire: il voto non è un dovere, è un diritto a cui rinuncio volentieri al cospetto di certi obliqui figuri che faticano a rappresentare finanche se stessi… ma scherzavo… non vedete che è quasi carnevale? E quante maschere clawnesche già mi attorniano! Se è carnevale, lo è per tutti. Ma loro, i buffi, fingono soltanto di scherzare e sbagliano da professionisti: perchè non potremmo farlo anche noi?