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Codice Etico
Il vademecum della moralità

04-01

Dalle macerie del centrodestra, ottimamente interpretato, recitato e rappresentato dai due super presidenti, Scopelliti e Talarico, nonché  dai valvassori e valvassini facenti parte della corte dei miracoli,  si levano colonne di fumo a perenne ricordo della sciagurata gestione della regione Calabria. Forse la peggiore dell’ultimo ventennio, certamente la prima per numero di indagati, per corruzione, per nepotismo, per clientelismo.

Questa volta, però, abbiamo fatto bingo: la commissione nazionale antimafia ha varato il codice etico che debutta – quale onore! – in Calabria: banco di prova le elezioni comunali di Reggio e, subito dopo, le elezioni regionali.

Il codice di cui stiamo per parlare non ha niente a che vedere col codice da Vinci o con l’etica Calabria dell’ineffabile presidente  Pasqualino Ruberto, in questo momento impegnato allo spasimo nel tentativo di acciuffare consensi, distribuendo euro come caramelle in difesa prioritariamente dell’occupazione giovanile e non ed in subordine degli interessi elettorali dei suoi danti causa.

Questa volta le aquile hanno volato alto e gli strizzacervelli della commissione nazionale antimafia, presieduta da Rosy Bindi,  hanno approvato all’unanimità il codice etico che sperano di trasformare, quanto prima, in un disegno di legge che vada ad integrare la legge Severino e gli artt. 416 bis e ter del c.p.

Di per se stessa la definizione di codice etico rimanda alla eterna  problematica della morale ed a quei principi universali cui dovrebbero ispirarsi le azioni umane.  Su questa falsariga si è mossa la Bindi, che candidamente ha invitato le forze politiche a presentare nelle liste elettorali  persone che rispondano a precisi requisiti di probità ed onestà. Tradotto il concetto in parole povere, i partiti non possono e non devono  candidare soggetti coinvolti in reati di criminalità organizzata, in reati contro la pubblica amministrazione ed in reati di estorsione ed usura, di traffico di stupefacenti, di traffico illecito di rifiuti, di corruzione, di scambio elettorale politico-mafioso, di concussione e peculato.

Nel dettaglio, il vademecum della moralità  prevede l’invito a non candidarsi già al momento del rinvio a giudizio, e non al momento della condanna;  stabilisce la incandidabilità, almeno per una tornata elettorale, di coloro che siano stati sindaci in comuni sciolti per mafia e dichiara questa autoregolamentazione valida anche per i presidenti delle regioni e delle unioni delle province. Si potrebbe dire che non manca proprio niente, se non fosse per un non trascurabile dettaglio: il codice non ha valore sanzionatorio, è solo un invito morale. Con buona pace del vice presidente dell’antimafia, Claudio Fava, che si è impegnato a vigilare concretamente sulle liste elettorali per segnalare all’opinione pubblica i candidati e i partiti che violeranno i dettami del codice stesso, è come chiedere al condannato a morte di iniettarsi da sé il cianuro nelle vene o a chi deve essere impiccato di mettersi da sé il cappio al collo. Non vorrei sbagliarmi, ma questo film l’ho già visto; aveva probabilmente un titolo diverso, ma il contenuto e il fine erano la stessa polpetta che oggi Bindi, Fava e compagnia cantante ci stanno servendo, magari in sughi ed intingoli più stuzzicanti ed appetitosi. Nel febbraio 2010, la stessa commissione parlamentare antimafia approvò un altro codice etico, ma dopo qualche settimana il vice presidente stesso, Fabio Granata, ne denunciò il fallimento per le trasgressioni da parte di tutti i partiti. Seguirono, poi, i protocolli di intesa di Marco Minniti, e per ultimo l’aria fritta di Agazio Loiero e di Gianluca Callipo, con la costituzione delle istituzioni come parte civile, nonché le ambasce di Magorno nel tentativo di  imporre la moralità ad ogni costo nella composizione delle liste elettorali di destra, di centro e di sinistra.

Intanto le liste, malgrado i “suggerimenti” dei codici etici – quello della commissione antimafia e quello interno dei democrat –  non presentano grandi cambiamenti generazionali e la passarella delle vecchie glorie sembra continuare. Faide e mercatini fanno storcere apparentemente la bocca, ma i grandi convoyeur di consensi elettorali restano sempre appetibili: vicenda Trematerra docet.

Anche se auspicabile, stento a credere che la tensione morale della Bindi e di Fava abbia la meglio sulle alchimie aritmetiche delle segreterie di partito, dove invece i pregi e le virtù dei candidati sono direttamente proporzionali al numero dei consensi  portati negli scrigni elettorali.

Si continui pure così, tra le navi della legalità dell’onnipresente don Ciotti, tra la distribuzione delle gerbere gialle della Musella, tra la diffusione delle pillole anti ‘ndrina  di Salvatore Magarò, tra l’antiracket di Tano Grasso.

Alla via così. Fiat voluntas: di chi?