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IL CARRO DELLA STORIA
Il libro di Angelo Falbo edito per i tipi della Rubbettino. Non è un testo di storia, è una storia raccontata frutto di una lunga ricerca condotta con la collaborazione diretta o indiretta di numerosi altri che hanno sostenuto l’iniziativa inviando scritti, manoscritti, fotocopie, documenti e dati. Narra dei partigiani dei nostri luoghi, spesso del tutto sconosciuti, e tenta di dar senso e risposta alla sepoltura di un comandante partigiano presente nel cimitero di Carlopoli: capitano Antonio Tallarico.

Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla stesura di questo libro, compresi quanti non sono presenti nella pagina specifica, prima fra tutti la signora Domenica Tallarico, custode devota della documentazione del papà, comandante partigiano Federico, “Frico”.
E’ lo stesso autore, Angelo Falbo, che di seguito ci dà ampia motivazione del significato della sua fatica letteraria.
La ricerca si sviluppa su vari aspetti, rispondendo alla finalità che il gruppo dell’ANPI del Reventino si è data: coltivare e testimoniare memoria storica sulla fase del “secondo Risorgimento”, quale è stata la Resistenza. Ricordando i partigiani dei nostri luoghi. Spesso del tutto sconosciuti e che comunque troppo in fretta si sta cercando di dimenticare. O cercando di evitare di conoscerne e di offuscarne i valori e le idealità per cui si sacrificarono sconfiggendo i nazi fascisti, facendoci trovare una Repubblica con una Costituzione che ci affranca dalla sudditanza, promuovendoci Cittadini uguali.
Si parte dal bisogno di dare delle risposte al senso di una sepoltura di un “Comandante partigiano”, Antonio Tallarico, capitano, presente nel Cimitero di Carlopoli.
Si scopre che Egli è discendente da avi del Casale di Carlopoli: da un ceppo del Casato dei Talarico ( da Vincenzo Talarico di Carlopoli e da Serafina Moraca di Felice, nata a Murachi di Bianchi). Uno dei loro figli, Federico Giovanni, sulla via della “transumanza”, trasmigra a Marcedusa, dove la discendenza prende la doppia elle, Tallarico. Poi a Catanzaro. Per diventare, dopo l’8 Settembre, partigiano in Val Sangone.
Si scopre ch’Egli dai Balcani dove si trova come soldato graduato dell’Esercito regio occupante, si reca dal fratello Federico. Anch’Egli è un graduato istruttore nell’Esercito regio. Ha scelto di “darsi alla montagna”; pur essendo stato un convinto sostenitore della dichiarazione di guerra, tanto da essere partito volontario.  Ha sospeso gli studi universitari come tantissimi altri giovani meridionali. Nella cintura montuosa del Sangone ha costituito una banda, la banda “Frico”. A Lui si accompagna la sorella Caterina che da qualche tempo era giunta a Torino per continuare gli studi di Medicina.
Tutti e tre diverranno componenti della 43^ Divisione “Sergio De Vitis” Autonoma Val Sangone. Una Divisione che, accanto ad altre, ha svolto una delicata e importante funzione logistico- militare per la liberazione di Torino.
Il racconto intreccia la vicenda della discendenza dei tre partigiani, con vari aspetti che ne comprendono il contesto : dalla nascita del Casale con  la sua originaria struttura socio-economica, alle alterne vicende politico-militari istituzionali   del 700-800, alle ribellioni pre-unitarie e a quelle post-unitarie, ai vari flussi migratori, all’avvento del Fascismo e del suo disfacimento, alla dichiarazione di guerra da parte di Mussolini e alla  definitiva sconfitta della tragica alleanza Fascismo-Nazismo, fino alla organizzazione della lotta partigiana, di Resistenza e di Liberazione, con la nascita della Repubblica Italiana, democratica, parlamentare, come sancito nella Carta costituzionale.
Non mancano spunti di riflessioni sulle cause dell’arretratezza del Mezzogiorno, delle scelte unidirezionali di sviluppo, con gli egoismi territoriali racchiusi nelle pretese dell’”autonomia differenziata”, in manifesto contrasto con quanto avrebbero voluto i partigiani e con quanto è trasmesso dentro l’articolato valoriale dei principi costituzionali (art. 3 comma 2)
Così come non mancano motivi di approfondimento sulla necessità di “coltivare memoria” affidandone il compito sistemico alla Scuola, a partire da una rivalutazione dell’insegnamento della disciplina della Storia, rafforzandone tempi-orari, collocazione e funzione interdisciplinare.
A tal proposito vengono indicate alcune esperienze di ricerca storica didatticamente molto efficaci e ben condotte al fine della formazione del Cittadino. Nelle Scuole vi sono molti esempi e testimonianze di lavori e impegni di Docenti condotti in attuazione di una didattica dei sentimenti valoriali come la Costituzione indica. Se ne riportano alcuni: di un Istituto di Giaveno, di uno di Carmagnola e anche dell’I.C. “ G. Rodari” di Soveria- Mannelli Carlopoli.
Il lavoro dei “ragazzi” di Giaveno è stato più ampiamente “ripreso” perché direttamente attinente alla lotta resistenziale in Val Sangone, consentendo una più specifica comprensione dei luoghi, dei protagonisti e del contesto nel suo insieme, nel quale è stata vissuta la scelta dei due fratelli e della sorella Tallarico, divenuti consapevolmente partigiani combattenti nel flusso più vasto della lotta di Liberazione.
Il sistema scolastico ha un delicatissimo compito per l’istruzione, la formazione e l’orientamento delle generazioni, il confronto offerto dai due scritti del Dirigente Prof. Mario Gallo e dell’Ispettore Prof. Salvatore Belvedere tra la Scuola di regime e la Scuola democratica, ne danno un significativo riscontro, certo per le non piene attenzioni degli operatori nel loro insieme, ma soprattutto per la miopia delle classi governative, a livello centrale e territoriale, che la trascurano e non ne rafforzano sistemicamente l’organizzazione, la didattica e le finalità, di istruzione e di formazione.
Ricordiamoci che un buon sistema scolastico è quello che dinamicamente riduce le diseguaglianze sociali di partenza, promuovendo la piena cittadinanza per tutti.
Diceva bene il Presidente Draghi l’altra sera nello spiegare perché il Governo vuole la Scuola aperta, pur tra i rischi di incremento infettivo: perché la DAD ha creato più diseguaglianze di quelle gravi già esistenti, che rischiano di divenire incolmabili tra le future generazioni; tutte diseguaglianze che produrranno non solo arretratezze e inferiorità sociali tra individui e tra ceti, ma per l’intero assetto sociale. Giusto concetto. Allora mettiamo finalmente la Scuola e il suo “ammodernamento formativo” al primo posto, per il personale, per le strutture, per gli strumenti, per i materiali.
Non nel senso di ricurvarne gli insegnamenti alle produttività aziendalistiche- economicistiche, ma per corrispondere alla formazione valoriale e di idealità, sul presupposto che avere Cittadini ben formati, significa pure avere Lavoratori più capaci, con dignità di Persone.
In attesa di poterne discutere, buona lettura.