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LAMEZIA UNA SILENTE SBIADITA REALTA’ CHE VIVE IN ATTESA DI UN UTOPICO FUTURO
La città è affetta da distrofia culturale degenerativa che la costringe all’immobilità

Lamezia è stata un sogno, Lamezia è stata un’idea, Lamezia è stata una prospettiva di futuro. Cinquant’anni di errori, di lotte intestine, di occasioni mancate, hanno trasformato il sogno in un incubo, l’idea in una sbiadita realtà e la prospettiva di futuro in un’utopia.
La fusione a freddo dei tre comuni ha generato solo una fusione amministrativa, senza una visione, senza un progetto collettivo in cui far riconoscere i cittadini, tutti i cittadini. Non è mai nato il “cittadino lametino”, perché non è mai nata la città. Così si è traslata l’idea dell’unione amministrativa nell’idea che l’unione dovesse essere una conurbazione fisica. Si è banalmente ed erroneamente pensato che lo sviluppo significasse aumento indiscriminato di quantità edilizie, opere pubbliche fini a sé stesse, pur di edificare.

Tutto vano. Una massa informe di edificato non fa una città. Manca il progetto e manca il programma, perché manca l’idea che rende solidale la collettività e la fa diventare una comunità.
Oggi la città è in ginocchio, svuotata di entusiasmi e svuotata di giovani, di ideali, di prospettiva di futuro. Lamezia si è ammalata, è afflitta da “distrofia culturale degenerativa” che la costringe all’immobilità: sopravvive. Una città in ginocchio, devastata dall’incuria e dalla rassegnazione alla quotidianità, al giorno per giorno, adagiata su un’agonia economica ed ambientale. Una situazione drammatica, tanto più in un momento in cui l’intero Paese si trova ad affrontare una crisi complessa sotto il profilo economico ed ancor di più sotto il profilo sanitario, sociale e politico. E Lamezia langue; i partiti assenti, le associazioni silenti, i cittadini attoniti attendono rassegnati ad uno status quo indefinito. Pesa come un macigno il silenzio di una classe dirigente assuefatta all’immobilità politica e incapace di creare alternative politiche e culturali.

Il vuoto culturale inghiotte lentamente ma inesorabilmente ogni organo di questo corpo malato. In questa afasia politica giungono voci dal Palazzo che si sta lavorando alla riesumazione del cadavere di quel “Frankenstein urbanistico” che fu il vecchio strumento denominato PSC, concepito nei primi anni del millennio, approvato dalla seconda Giunta Speranza e poi definitivamente partorito nel Consiglio Comunale in cui fu approvato con il maxiemendamento.
Oggi dopo vent’anni dal suo concepimento si tira fuori dal sepolcro il feretro, senza una seria discussione, senza interrogarsi sui cambiamenti epocali sia legislativi, sia finanziari, sia sociali, senza interrogare e coinvolgere le categorie professionali, le associazioni culturali, le associazioni di categoria, i sindacati.

Nel silenzio assordante degli ordini professionali e della cultura della città, nel chiuso delle commissioni dentro il palazzo e con buona pace per concetti come democrazia e partecipazione si lavora alla riesumazione di un cadavere politico-amministrativo, che il tempo e i cambiamenti che la Storia impone, hanno ormai bocciato.
Non è questo il metodo, non è questa la prassi con cui si può istruire il documento principe dell’amministrazione e del territorio, di una realtà territoriale, sociale e politica come quella di Lamezia Terme.
Stupisce che gli assessori competenti, entrambi tecnici, non abbiano sentito il dovere morale di incontrare i propri colleghi né all’atto dell’insediamento né per prospettare il proprio percorso di lavoro, né per discutere dei provvedimenti relativi all’assetto e alla pianificazione urbanistica del territorio. Tutto si svolge al chiuso del palazzo, come se le istanze, le idee, le priorità dei cittadini fossero altra cosa rispetto alla politica. Il capolavoro iconoclasta della politica e della burocrazia cittadina, negli ultimi anni, è consistito nel riuscire a saldare l’immobilismo tecnico-amministrativo con l’assoluta assenza di idee, di progetti e di visioni di futuro. È bastato non fare niente per ottenere il risultato di smantellare ogni barricata culturale, fino a lasciare solo macerie.