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Miei segni particolari: incanto e disperazione L’essere umano però ha del buono negli anfratti del suo animo

Oggi ho scritto L'urlo di Munchun articolo per la rivista di danza con cui collaboro; un articolo su di uno spettacolo, come tanti altri ne ho scritti; e leggendo i vari comunicati stampa, le varie interviste a chi questo spettacolo lo ha ideato, mi sono resa conto di come – alla fine – il leitmotiv della produzione artistica sia, quasi sempre, l’animo umano con le sue mille sfaccettature.
Già! Ed è una cosa che mi ha fatto pensare: perché continuiamo a parlarne, a scriverne a raccontarcelo, forse perché, in conclusione, non ne abbiamo capito granché!
L’uomo, con le sue infinite sfumature, costituisce un mistero insondabile: quel che ha nel cuore è poesia ed è orrore, è grandezza ed è inconsistenza; è incubo e sogno; è amore e malvagità, è “incanto e disperazione” per dirla con la Szymborska.
L’uomo è tutto questo, e non riusciamo a venirne a capo pur sforzandoci, pur cercando di capirlo, pur adottando misure e strategie atte a risolvere l’enigma.
Nella nostra vita incontriamo davvero tantissime persone, alcune ci sfiorano soltanto, altre restano impigliate nelle maglie della nostra esistenza, per caso o per volontà, e di queste con cui abbiamo l’opportunità di relazionarci in maniera più o meno continuativa, iniziamo a cogliere i colori dell’animo e le mille contraddizioni che lo caratterizzano.
Sono quelle persone che, consapevolmente o no, decidono di fare un pezzettino di strada con noi, o anche un lungo percorso, dipende. Eppure, molte volte, per quanto ci sforziamo di capire e di coglierne i sensi e le ragioni, ci risulta pressoché impossibile leggerle dentro.
Talvolta si sente dire “Quella persona è un libro aperto”, ma io credo che non esistano animi così trasparenti, non credo che ci sia chi non ha in sé quell’ambivalenza e quella contraddittorietà che lo rendono piccolo e meschino, così come solo l’uomo può essere. Non me ne tiro fuori sia chiaro, io non sono diversa dal resto del mondo, tuttavia credo che stia a ciascuno di noi imparare a stemperare le caratteristiche negative e cercare di raggiungere un equilibrio. Se non crediamo di poterlo fare, se non siamo in grado di fare un’autoanalisi, di guardarci allo specchio senza il piglio presuntuoso di chi crede di essere “assolutamente perfetto sotto ogni aspetto”, come una sorta di Mary Poppins dei giorni nostri, è meglio lasciarle stare le vite degli altri.
E nemmeno si può accettare il discorso che fa chi dice di non poter cambiare, perché significa rinunciare a crescere e ad evolversi; significa non mettersi in discussione, mettere a tacere quell’eterna diatriba interiore che quotidianamente si dovrebbe svolgere in noi, per diventare delle persone migliori. E quando poi, entriamo nell’intimo vivere di un’altra persona, ancora di più ci si dovrebbe sforzare di far pulizia dentro di sé, di limitare gli aspetti cupi e oscuri del Mr. Hyde che alberga in noi, per dar maggiore spazio al bello che, ho bisogno di crederlo, ciascuno di noi custodisce in cuor suo!
Come scriveva Stevenson nel suo romanzo “[…] l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.” Varrebbe la pena, per una volta, smussare gli spigoli di questa dualità, per non ferire chi ci è vicino, per non danneggiare nessuno, per non saccheggiare le speranze di chi crede, malgrado a volte le evidenze dimostrino il contrario, che l’essere umano abbia anche del buono nei reconditi anfratti del suo animo.