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IL BIPOPULISMO DEGLI OPPOSTI ESTREMISTI
Adesso a metà 2022 nessuno può dire più di non riuscire ad orientarsi in politica. La scacchiera, italiana e internazionale, è molto chiara e si è semplificata così tanto che ormai le pedine bianche e nere non si mangiano più tra di loro. Le recenti elezioni francesi, con il contemporaneo successo di Le Pen e Melenchon, lo confermano.

Su ogni questione seria, covid o guerra, per esempio, estrema destra nazista/fascista ed estrema sinistra la pensano esattamente allo stesso modo. Fascisti e comunisti non si combattono più perché hanno scoperto che il populismo li accomuna. Il populismo consiste nel dare al popolo quello che il popolo vuole. In Italia nel 2018 il popolo diede molti consensi alle formazioni dell’antipolitica, il M5S (una impresa privata Grillo/Casaleggio che nasceva con il Vaffa) e la Lega di Salvini (riuscito nell’impresa titanica di far diventare molti meridionali vittime della sindrome di Stoccolma). Rossi e neri hanno ormai un nemico in comune, gli americani con gli annessi e connessi, la finanza, le banche, l’Ue, e magari gli ebrei che vanno d’accordo con i precedenti.

Prendiamo l’Italietta. Cacciari il filosofo fondatore di DuPre, la Commissione Dubbio e Precauzione, è contro “gli strumenti adottati per combattere il Covid e la politica sanitaria dell’attuale governo e di quello passato per combattere il virus”. La stessa posizione dei No vax, solo che Cacciari non è stupido e si è vaccinato. Sulla guerra, Salvini, Conte, Fico, Meloni, Berlusconi, Fratoianni, Montanari, Landini, Bersani, Provenzano, D’Alema, Travaglio, Santoro, Belpietro, Cacciari, Dibba, Cairo e la 7, la pensano allo stesso identico modo: la Nato ha causato la guerra, Finlandia e Svezia non devono entrare nella Nato, l’Ucraina non deve entrare nella Ue, Zelensky è la marionetta di Biden, se si arrende la guerra finisce subito ed è meglio per tutti; l’Ue è buona e serve solo se ci sgancia soldi. Basta confrontare ogni giorno tutte le dichiarazioni o guardare la tv.

C’è un pensiero unico anche sulla politica economica. Lo schieramento degli opposti estremisti (si chiama bipopulismo) condivide l’identica politica dell’elicottero, considerata l’inflazione e l’aumento dei prezzi di gas energia e generi di prima necessità. Propongono di far alzare in volo tanti elicotteri sulla penisola dai quali scaricare giù banconote agli italiani. Questi denari o ce li dà l’Europa, oppure li stampiamo noi. Estrema destra ed estrema sinistra, per una fatal combinazione della storia, condividono, ora, nel 2022, esattamente lo stesso pensiero economico, il corporativismo e l’autarchia o i soviet ormai nessuno ricorda più cosa fossero. Bonus ristori e sussidi per tutti, salario minimo, imprese di Stato. Tutti d’accordo, patrimoniale o flat tax si citano in tv giusto per darsi un tono.

Ho lasciato per ultimo l’argomento fondamentale che accomuna fascisti e comunisti in un pensiero unico: essi hanno individuato nella globalizzazione il guaio del mondo. Che la globalizzazione sia finita è ormai una specie di luogo comune, il nazionalismo, il “piccolo è bello”, la decrescita felice, la sovranità della piccola patria sembrano concetti che accomunano gli estremisti di qualsiasi colore. Gli eventi degli ultimi anni (prima il  Covid-19 poi la guerra in Ucraina) è chiaro come  abbiano messo in discussione gli scambi internazionali. Dipendere dall’estero per le forniture, basare l’economia sul mercato globale degli scambi in questo preciso momento storico sembra l’errore tragico che è stato commesso, o meglio appare come la colpa storica della finanza, degli Usa e dei liberisti.

Nella nostra cultura è così introiettata l’idea di Stato nazionale (proletari di tutto il mondo unitevi sembra il paradosso di un Osho) che quando scoppia la bufera ci rifugiamo nel suo porto sicuro, mentre i mercati internazionali ci rimandano tutti i segnali più inquietanti dell’incertezza e della fragilità della società aperta. La società aperta è certamente fragile (il minimo battito d’ali di una farfalla si dice sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo) ma non è una buona ragione per desiderarne la dissoluzione e la conseguente rinchiusura nei nostri antichi confini o recinti. Pochi anni fa quando si cominciò a poter uscire dall’Italia senza esser fermati alla frontiera e dover prima cambiare le lire nella moneta estera, ci sembrava davvero di essere entrati in un nuovo mondo. Non è stupido voler tornare alle sbarre delle dogane, il gioco vale la candela? L’Italia poi è emblematica perchè già nasce dagli staterelli, ma diventa sempre di più la patria dei municipi, dei dialetti, dei quartieri, e le stesse regioni contribuiscono ormai (con semplici presidenti fattisi Governatori) al regno del disordine facendo rimpiangere il biennio 1848-49 quando il tema della unificazione nazionale seppe imporsi. Eppure è proprio grazie all’efficienza dei mercati globali se, nonostante tutto, abbiamo ancora accesso regolare a tutto ciò che ci serve. Di più: è grazie soprattutto alla globalizzazione se le imprese riescono a rispondere con l’innovazione tecnologica, in tempi rapidissimi, a sfide enormi. Il caso del vaccino anti-Covid ne è, forse, l’ultimo esempio più clamoroso.

Ormai non passa giorno in cui il dibattito pubblico (invocando continuamente l’intervento dello Stato) non si concentri sul rimpatrio delle produzioni. Compriamo il grano all’estero? Perchè non lo produciamo noi? E così via, senza occuparsi del problema che un paese senza materie prime e risorse energetiche grazie alla globalizzazione e al libero scambio ha potuto approvigionarsi e crescere attraverso le esportazioni delle sue imprese manifatturiere. I paesi che dovessero intraprendere questa strada che non è nè facile nè agevole, soccomberebbero davanti a costi proibitivi, sacrificando così la crescita futura.

Per quale motivo razionale paesi sviluppati come quelli europei dovrebbero tornare indietro riportando a casa produzioni che sono state delocalizzate a causa del loro basso contenuto di valore aggiunto? Dovremmo fare l’esatto contrario, porci alla frontiera del progresso tecnologico e cercare di trarre vantaggio dall’efficienza economica resa possibile dalla globalizzazione. Basti pensare all’esempio, appunto, dei vaccini, che abbiamo provato anche a produrre in Italia (senza grande fortuna) consapevoli di quale ricchezza avremmo generato se dentro il mercato mondiale ci fosse stato un prodotto italiano.

La guerra ideologica contro il libero scambio (chiamato quasi sempre liberismo) nasce spesso dalla incomprensione di come i mercati possano produrre valore pur senza l’azione ordinatrice di un grande cervello centrale. Il fatto è che ci sono quelli che ambirebbero a divenire proprio quel grande cervello centrale per pianificare le vite degli altri. Il mercato, si pensi a qualsiasi prodotto merceologico, di fatto non lo controlla nessuno, e nessuno sa prima di lanciarlo se quel prodotto avrà successo. E se ha successo non si può dormire sugli allori, chiedetelo alla Nokia finlandese.

In conclusione, se le distinzioni destra e sinistra dopo il bipopulismo non hanno più nessuna ragione di esistere, il sovranismo delle frontiere (il prima l’America o il prima la Padania) che criminalizza il libero mercato globale sembra davvero assomigliare ad una superstizione degli uomini primitivi che vivevano in qualche tribù. La società aperta è preferibile a quella chiusa perchè i vantaggi sono superiori agli svantaggi. Quelli che per fronteggiare gli svantaggi intendono tornare alla società chiusa semplicemente buttano il bambino con l’acqua sporca, vecchia ma sempre attuale pratica per risolvere un problema creandone altri ben più grandi.